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E’ straniante, la Stranezza

Nov 9, 2022 | Recensioni

Ad un angolo di una strada molto trafficata, per esempio, ad Aquila, ai Quattro Cantoni, o, magari, nel bel mezzo del corridoio centrale di un Centro Commerciale, un tizio qualsiasi, che ha portato con sé una sedia, ci sale sopra, ed inizia a parlare.

Ad alta voce, rivolgendosi ai passanti; e s’aspetta che qualcuno lo guardi, lo ascolti, e magari parli con lui, o lo applauda.

Può darsi che, come prima reazione all’incontro con questo tizio che cerca di farsi ascoltare, a qualcuno venga in mente di rivolgersi alle Forze dell’Ordine, per capire se sia possibile mettersi così, liberamente, su una pubblica strada, a parlare ad alta voce di qualsiasi cosa, o se sia magari necessaria una apposita autorizzazione, e se quella persona nello specifico, sia, o meno, autorizzata a parlare in quel particolare modo.

Probabilmente, buona parte delle persone che, casualmente, si trovino a transitare da quelle parti, si sentiranno solo infastidite dalle parole pronunciate ad alta voce, o dal tema, oggetto del discorso improvvisato e s’allontaneranno velocemente. Forse qualcuno sarà incuriosito, e si fermerà ad ascoltare qualche istante, per andar via subito dopo. Molto pochi, probabilmente, decideranno di fermarsi ad ascoltare sino in fondo, quel che la persona avrà voluto dire.

In fondo, la descrizione di questa possibilità, ha molto a che fare con quello che accade quando si accenda il computer, o il proprio cellulare, e si decida di cercare qualcosa di specifico, o, si scelga di curiosare disordinatamente in rete, senza una meta precisa.

Forse ha a che fare anche con voi, che vi siete fermati, mentre stavate passeggiando, a leggere queste parole; scritte da una persona che non conoscete, e, rispetto alle quali, non sapete se vi condurranno ad una riflessione interessante, o divertente, o se saranno solo altro rumore, magari anche parecchio fastidioso, lungo la strada che stavate percorrendo.

Provare a scrivere qualcosa e, ritenere che sia degna di essere letta da qualcuno, significa vincere almeno un paio di profonde ritrosie.

La prima, riguarda il pudore per l’importanza del proprio pensiero.

Le cose che si vorrebbero scrivere non è certo abbiano un senso, o un rilievo, o siano percepite come necessarie, e persino noi stessi, potremmo dubitarne. Potremmo correre dietro ad un miraggio, ed immaginare di poter mostrare un meraviglioso palazzo delle Mille e una Notte, e trovarci invece ad avere da offrire solo un piccolo ed insignificante tugurio.

La seconda riguarda l’esporsi.

Scrivere significa porsi consapevolmente sotto esame, e senza possibilità di difendersi, peraltro, visto che, salvo rari casi, è difficile poter instaurare un confronto con chi legga, o rispondere ai suoi pensieri, alle sue domande e alle sue considerazioni. In una certa misura, decidere di far leggere quel che si è scritto, significa sapere di essere totalmente nelle mani di chi abbia deciso di leggere.

Però, se state leggendo, vuol dire che queste timidezze sono state vinte, almeno momentaneamente, e s’è deciso di non aver paura a mostrare un pezzo della propria passione, quanto meno. Mantenendo però per sé stessi, un sano scetticismo sulle proprie capacità d’essere significativi. O magari, finendo con l’inventare i propri lettori.

Quella passione che anima profondamente Vella e Principato – due misuratissimi e magnifici Ficarra e Picone – nel mettere in scena il loro teatro, pur se divenuti consapevoli della propria bassissima statura, di fronte a Luigi Pirandello – un Toni Servillo capace di rendere credibile, con naturale arte di far scomparire sè stesso, qualsiasi personaggio si trovi ad interpretare – ma solo quando lo abbiano riconosciuto…

Il film immagina la genesi di una delle opere teatrali più importanti di Pirandello: i “Sei personaggi in cerca d’autore”, concepita faticosamente in un continuo andirivieni in cui gli atti degli uomini sembrano condurre sempre fuori dall’orizzonte dei loro desideri, ed in cui gli accidenti della vita, si incaricano di condurre le persone, ed i personaggi, verso un mondo ove la rappresentazione deborda nella realtà.

Fino a farla scomparire la realtà; quella realtà sotto la quale – dice Verga, incontrato nella finzione filmica in occasione del suo ottantesimo compleanno – Pirandello s’è dato pena di porre una bomba, capace di farla deflagrare, e scomporre, come fosse un quadro di Picasso, che smonta le prospettive ed i punti di vista, ed il tempo, perfino, e finisce con l’abbattere i confini, tra una visione interiore, ed una recita solo apparentemente esteriore; tra il palcoscenico, ed il pubblico, rendendo reale la rappresentazione, e rappresentazione teatrale amplificata, la realtà.

Parlate forte, perché debba sentirvi anche chi siede in ultima fila.

L’orgoglio, e la tenacia, dei due becchini autori-attori-personaggi forse reali, finisce per coinvolgere nel loro amore per il teatro, una intera comunità, rivelando uno stranito paese della Sicilia negli anni ‘20 del Novecento – sospeso fuori dalla storia tumultuosa di quegli anni duri, e trasformato in una Agorà sbilenca – e svelandola, nello stesso tempo, protagonista tutta intera, di una opera teatrale che, per la prima volta, vuole uscire dal consueto repertorio farsesco e vuole far smettere di ridere, perché vuol farsi dramma, per aderire di più alla realtà, ma resta invischiata, anch’essa, nell’impossibilità ad essere pienamente quel che, avrebbe dovuto essere, secondo l’autore, che non avrà mai il dramma come lo avrebbe voluto lui.

Esattamente come spesso capita alla vita che, quasi mai, corrisponde ai nostri desideri di autori di noi stessi, che sperimentiamo ogni giorno come i nostri tentativi di condurre la quotidianità verso esiti che speriamo, o vogliamo raggiungere, siano spesso frustrati, dalle nostre debolezze e dai nostri limiti, o dalla distanza impercorribile che esiste tra quello che possiamo, e quello che non siamo in grado di poter fare.

Neppure pagando una tangente  perché sia soddisfatto quel che sarebbe un nostro diritto di legge.

Allora, gli amori, non sono quel che desideriamo siano, e la donna che vorremmo nostra, guarda altrove; un bambino è troppo piccolo, per interpretare un personaggio, ma sufficientemente grande per stare su un palco a cantilenare giochi di parole e battute facili; la morte ci impedisce di essere sul palco a rappresentare il nostro personaggio, e si diverte persino a far scambiare un onorevole, con un signor nessuno, onorato e sepolto al suo posto, senza possibilità di rimettere al loro posto le cose, sol per consentire alla pubblica autorità di non ammettere i propri errori; una pubblica autorità corrotta, che, sulla pubblica piazza del teatro, diventa protagonista suo malgrado dell’opera, svelando tutta la propria miserabile viltà e prepotenza.

Perchè il re, è sempre nudo, basta che ci sia un bambino che abbia il coraggio di dirlo.

E Pirandello guarda, la vita e il teatro, svolgersi, sotto i propri occhi, e rompere costantemente, e reciprocamente, i confini l’una dell’altro, e come autore, finalmente, arriva a comprendere che può soddisfare la stranezza che si sente dentro, solo se raccolga la realtà, sia pur minima, che gli si agita dinanzi, mentre cerca di essere ed uscire fuori dal buio, e la trasformi in universalità umana, a tutti visibile, dando ai personaggi che lo vengono a trovare nella sua stanza, la domenica mattina, tra le 8 e le 13 – nell’unico orario in cui li riceve ed ascolta le loro lamentele e le loro richieste – se non una vita tangibile, la ricerca di una vita almeno, e di un senso.

Fin quando, esattamente come Prospero, che il regista del film Roberto Andò ha portato a teatro, Pirandello non decide, che siamo fatti tutti della stessa sostanza dei sogni, e dei suoi pensieri, e modella la sua nuova opera teatrale, dandole lo spessore delle sottilissime vite che ha incontrato e che, mentre s’agitavano nel mondo per provare a raggiungere quel barlume di felicità che agli umani è concesso, si materializzavano contemporaneamente nella propria ricerca del modo più realistico, di raccontare la realtà, svelando cioè quanto essa sia fugace, impalpabile, fuorviante, priva di scopo e direzione.

Irreale, al fondo di tutto.

Esattamente come capita quando si scriva, immaginando che qualcuno poi risponda alle sollecitazioni che proviamo a fornire e ci faccia sentire che il mondo là fuori esiste, e non è solo una rappresentazione di sé stesso, incapace di trovarsi.

Ed esattamente come capita a chi non riesca a trovare spiegazione delle direzioni inattese prese dalla vita, proprio come l’adesione al fascismo da parte di Pirandello.

E forse l’unica cosa che può fare, quando si resta rinchiusi nel teatro, o nelle righe di un quaderno, è mettersi a dormire.

E sognarsi, magari. Che è l’unico modo d’esser vivi. Forse.

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