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Sugli ultimi avvenimenti elettorali, e sulla Cultura.

Mar 15, 2024 | 2024, Senza categoria

Delle ultime elezioni regionali, più di tutto, mi ha colpito il tentativo, da qualcuno operato forse consapevolmente, di accreditare una effettiva contendibilità della Regione, sul piano elettorale.

All’avvio della competizione elettorale, dopo qualche schermaglia, interna per lo più al Partito Democratico, nel quale qualcuno ambiva a rivestire la carica di candidato Presidente della Regione, la sintesi trovata, sulla candidatura di Luciano D’Amico, ha prodotto l’immediato effetto di sopire, almeno momentaneamente, ogni discussione interna allo schieramento che si contrapponeva al Presidente uscente della Regione. Ma questo non vuol dire che ciascun cittadino abruzzese abbia smesso di ascoltare la televisione, o leggere i giornali, o guardare quello che succedeva sui social, dove poteva quotidianamente verificare che ogni strumento di comunicazione era usato da ciascuno dei soggetti a livello nazionale, solo, o quasi, per rafforzare la propria immagine di Partito, o di Movimento, soprattutto in vista delle prossime elezioni europee, dando così la concreta percezione che l’uscente Presidente della Regione avesse di fronte a sé un’alleanza molto composita, che non faceva fino in fondo i conti con le proprie diversità, ma che aveva solo un obiettivo pratico, tattico, si potrebbe dire: contrastare la rielezione del Presidente di Centrodestra, in una situazione che, dati gli ultimi esiti elettorali sul territorio, connotava l’impresa come impossibile, o, almeno, assai improbabile a realizzarsi.

L’uso elettorale dei sondaggi, in questo caso, è stato funzionale a creare attenzione mediatica sulla competizione elettorale, fornendo l’impressione, progressivamente, che le distanze di consenso tra i contendenti, fossero via via ridotte.

Io non intendo entrare in una discussione sulla veridicità e accuratezza dei sondaggi, o se, di quel che si voleva far trasparire fosse responsabile il Centrosinistra, per accreditare davvero una possibilità di vittoria, e farla divenire una sorta di profezia autoavverantesi, capace di motivare il proprio elettorato a recarsi alle urne; o il Centrodestra che potrebbe aver usato questo schema per impaurire il proprio elettorato di fronte ad una possibile sconfitta, spingendolo per questa via, a recarsi alle urne e a votare per il proprio schieramento, per scongiurare l’ipotesi di perdere il controllo del governo regionale.

Mi interessa invece il puro dato della drammatizzazione, e l’enfasi, che è costantemente cresciuta intorno a questo appuntamento elettorale, se vogliamo, fondamentale per gli abruzzesi, ma decisamente marginale, nel quadro dei più grandi equilibri nazionali.

Sino ad oggi, da quando il sistema di voto prevede l’elezione diretta del Presidente della Giunta Regionale, l’appuntamento elettorale regionale abruzzese, in realtà, ha svolto, suo malgrado, una funzione anticipatoria degli equilibri nazionali. Ponendosi tra appuntamenti elettorali nazionali, ne ha preconizzato l’esito, fosse esso in favore del Centrodestra; fosse esso in favore del Centrosinistra.

In altre parole, sul territorio abruzzese, negli ultimi trenta anni circa, un perfetto allineamento delle forze politiche che detenevano i poteri, tra governo nazionale e governo regionale ( cui magari si sommavano i governi di realtà comunali più importanti ), non è mai andato oltre il paio d’anni, grosso modo.

L’Abruzzo, con questa tornata elettorale, si appresta probabilmente a sperimentare il suo più lungo periodo di tempo, invece, in cui tale allineamento sarà totalmente operante, consentendo forse importanti operazioni politiche, magari di respiro nazionale.

Forse, oltre ad ogni altra considerazione in merito all’esito della presente competizione elettorale, la vera posta in gioco ha a che fare esattamente con questa opportunità. La possibilità cioè che, in un giro di tempo relativamente breve, il coordinamento tra azioni di governo ai vari livelli, consenta operazioni fino a poco tempo fa, considerate impercorribili.

Ecco allora che la spettacolarizzazione del confronto elettorale, ed in particolare l’impennata di presenze ai massimi livelli sul nostro territorio, acquista un senso ed un significato ulteriore, in un momento in cui ciascuno degli attori politici in campo, doveva, se non altro per ragioni di bandiera, dimostrare concretamente il proprio impegno per la possibile vittoria, e, contestualmente, rivendicare una propria presenza al tavolo del vincitore, una volta esaurita la competizione elettorale.

Il concentrarsi delle attenzioni sull’Abruzzo, in particolare dopo l’inopinata vittoria del Centrosinistra in Sardegna, tuttavia, forse, ha prodotto solo un rallentamento della tendenza all’indifferenza, rappresentata dalla percentuale di astensionismo, limitandone l’estensione.

Ma è evidente, che ad una parte importante dell’elettorato abruzzese, la competizione elettorale, non interessava, e non si è sentita coinvolta, neppure dal suo divenire “dramma” mediatico nazionale negli ultimi giorni prima del voto.

Questo, dovrebbe interrogare molto, chi abbia a cuore le sorti della Democrazia.

La Democrazia esiste, e resiste, se e quando sia una valore condiviso e praticato in modo vivo, all’interno di una comunità. Quanto più si spengano condivisione e pratica democratica; quanto più s’inaridisca la concreta partecipazione delle persone, tanto più la Democrazia può essere indebolita con illusorie certezze, nel campo della sicurezza dei cittadini o della efficienza delle decisioni che possono essere prese; ma anche con l’ignorare costantemente le problematiche più complesse, fornendo loro solo l’individuazione di un presunto “nemico”, su cui scaricare le contraddizioni presenti, senza assumere mai alcuna responsabilità.

E’ indubbio, come tendenza storica, che l’intreccio tra una economia finanziarizzata e globalizzata con l’egemonia pratica e culturale di regole spietate di mercato, non temperate da alcun compromesso sociale, richiede una potente giustificazione ideologica, per poter avere campo libero: ammantarsi di confortevoli richiami tradizionalistici e, insieme, di muscolari appelli alla superiorità di valori che non accettano il progresso e la libertà della persona e si oppongono al dialogo tra diversi, provando a porre in evidenza solo le identità, talvolta stereotipe, di presunte comunità originarie che, per ciò stesso, avrebbero il diritto, neppure a governare, ma a comandare proprio, senza contrappesi, e senza equilibrio dei poteri.

Ed è su questo discrimine, che in realtà dovrebbe fondarsi la costruzione di una alleanza credibile. Spendibile non solo sul piano elettorale, ma proprio delle concrete politiche di ogni giorno da praticare ad ogni livello.

Non mi pare di scorgere alcuna affinità reale, sui temi di fondo, con chi ha praticato, sul piano del governo, e delle proposte di revisione costituzionale, contemporaneamente, una idea aziendale dello Stato, e un indebolimento dei corpi sociali intermedi ( Sindacato, Partiti, Autonomie Locali, etc. ), funzionale a lasciare il cittadino, da solo, di fronte al Mercato.

Questo dovrebbe consigliare, anche a livello locale, alcune scelte precise, in termini di costruzione delle alleanze. Nulla vieta che si possa cambiare idea, ma se l’obiettivo politico esplicito, di alcune forze oggi considerate facenti parte del Centrosinistra, sia quello di occupare uno spazio che, nel merito delle scelte, sta sempre più esplicitandosi a destra degli schieramenti, io credo che sia una pura perdita di tempo, continuare ad incontrarsi con forze politiche che vogliono solo sostituire il guidatore del carro, ma non certo la strada che intende fare.

Queste forze politiche hanno ancora uno spazio dentro il Centrosinistra, solo perché contigue ad una parte del Partito Democratico, e precisamente a quella parte che, soprattutto a livello di amministrazioni locali, da molto tempo, pratica politiche e diffonde culture che vedono nel Mercato l’unico regolatore dei rapporti sociali, e concepiscono la funzione pubblica, solo in relazione a piccoli interessi economici e corporativi.

Non è che se una porcheria, sul piano urbanistico, la fa una amministrazione di Centrosinistra, questa sia meno grave della stessa porcheria fatta da una amministrazione di Centrodestra. Siamo sempre nell’ambito delle porcherie.

E non vale, qui, il distinguo sulla differenziazione possibile, tra alleanze locali, e alleanze nazionali. Perchè la competizione è con qualcuno che, da oltre trenta anni, salvo l’aggiunta o la scomparsa di qualche satellite, si presenta al corpo elettorale sempre nella stessa formazione, litigiosa forse al suo interno, ma, almeno, consapevole che governare qualcosa, vuol dire anche ricavarne dei vantaggi, sotto vari profili; non ultimi quelli che consentono di allargare i gruppi dirigenti; cosa che a Sinistra dello schieramento, invece, si presenta come un ostacolo quasi insormontabile all’uscita dalle ambiguità, visto che la pratica più comune, troppo spesso, tra gruppi dirigenti del Centrosinistra, non è il sostegno reciproco, ma la pura  conservazione del potere sulla base di principi di fedeltà. Magari a scapito di chi forse meriterebbe qualche attenzione in più.

Io non so, quanto le varie forme di comunicazione utilizzate in questa competizione elettorale, abbiano, o meno, influenzato l’esito elettorale. Quel che rilevo, tuttavia, pur non essendo certo una novità, è che la competizione, in termini comunicativi, ha utilizzato largamente gli schemi normalmente usati per la pubblicità di un prodotto del supermercato.

Il “posizionamento”, dei grandi manifesti elettorali, che servono a ricordare l’esistenza di un volto, o l’uso dei social come veicolo per messaggi che, un tempo, erano affidati alla televisione. In campo elettorale, davvero, non so valutare quanto spostino queste scelte. Probabilmente non influenzano minimamente, chi sia già convinto di qualcosa e, semmai, possono fornire qualche riferimento, non necessariamente positivo, per identificare i vari soggetti che sono sul “Mercato”.

Però, in termini comunicativi, siamo in presenza di una gara individuale. Solo individuale.

Quello che sposta davvero è, sicuramente, poter contare su persone che diffondano, nell’incontro diretto, una indicazione di voto, frutto di una opinione, piuttosto che di un sistema costruito per raccogliere consenso, anche in termini di vantaggi privati rispetto ai poteri esercitati, o che possono esercitarsi.

In altre parole, quello che davvero interviene sul voto, è una “organizzazione” che, magari, permanentemente, e non solo in periodo elettorale, diffonda idee, opinioni, indicazioni, informazioni. Una organizzazione “militante”, di fatto, nel Centrosinistra, volutamente ridimensionata e depotenziata, da tempo, perché oggettivamente un ostacolo alla gestione dei poteri, interni e nelle Istituzioni, nelle mani di pochi soggetti, capaci solo di mantenere intorno a sé una cerchia di persone che costruisca consenso e influenzi il dibattito.

Ecco allora, che alla pratica politica, si è sostituita la sua “rappresentazione”, per la quale non è necessario ragionare o valutare con coerenza le cose che accadono, o quelle che non accadono. E’ sufficiente “tifare”, per l’una o per l’altra parte, più o meno acriticamente.

Per questo, a Sinistra, e nel Centrosinistra, si cade continuamente nelle provocazioni del Centrodestra, o nelle loro studiate gaffes.

Se per una intera campagna elettorale, si parli quasi solo dei “tre mari”, di Marsilio, questo, in realtà, trasmette solo la scarsa delicatezza di un maestro elementare che reagisce in modo pignolo e sfottente, allo sbaglio di un bambino che, per un momento, abbia confuso le coordinate dei propri pensieri.

Naturalmente, parlare dei “tre mari”, esonera dal discutere la nuova Legge Urbanistica Regionale o gli interventi sempre più distruttivi sul patrimonio ambientale e paesaggistico della Regione, temi questi molto spinosi, anche dentro il Centrosinistra.

Io non so, se quel che scrivo risenta di un vizio, che chiamerei “intellettualistico” ( ammesso io sia un “intellettuale” ), e se la realtà, invece, non sia molto più semplice e nell’attuale momento storico sia giusto che vinca chi non porta con sé la zavorra di un pensiero che pretende d’essere organico e convincente, ma solo l’abilità di sommare e cavalcare gli interessi, qualunque essi siano, anche in contrasto tra loro.

Però ritengo, che se tutto questo sia possibile, è perché, da tempo, si è sedimentata nel nostro Paese una cultura nuova. Il cui nume tutelare è stato, e in una certa misura è ancora, Silvio Berlusconi.

Appartiene a lui, una idea paternalistico-speculativa ( soprattutto ai danni della Pubblica Amministrazione ), della gestione aziendale; appartiene a lui, la relativizzazione storica del fascismo e la legittimazione al ruolo ancillare della donna; appartiene a lui la rivendicazione di uno specifico maschile, svelto, furbo, cinico, e fintamente galante con le donne mentre evade le tasse; appartiene a lui l’indifferenza rispetto al ruolo delle grandi consorterie criminali, con le quali semmai si possono stringere inconfessabili patti ( in realtà qui, lui si è posto come continuatore di una storia antica di convivenza e connivenza tra mafie e potere politico ); appartiene a lui, infine la riduzione di ogni misura possibile, alla quantità di denaro necessaria per ottenere il risultato atteso.

E si potrebbe continuare.

Ed è su questa cultura, che il Centrosinistra dovrebbe incidere, chiamando a sé le menti più brillanti e fantasiose in ogni settore, per chiedere loro di riflettere su una possibile “agenda di futuro”, da iniziare a praticare, ad ogni livello.

In questo senso, l’occasione di “Aquila, capitale italiana della Cultura”, può costituire una tribuna straordinaria per porre un proprio autonomo contributo; una propria autonoma campagna di ascolto; un proprio autonomo coinvolgimento di figure oggi importanti per delineare una diversa politica culturale.

Rispetto a questa occorrenza, non condivido l’atteggiamento di quanti vedono solo la strumentalità di questa scelta che impatta su un territorio in larga parte percepito anche in profonda decadenza, tanto più sul piano culturale.

Al contrario, proprio mentre è essenziale la denuncia di tutte le manchevolezze nel governo della cosa pubblica di questi anni, in ambito culturale, nonostante l’ingente quantità di fondi disponibili ed utilizzati, sarebbe essenziale costruire una propria voce, dentro quello che potrebbe rappresentare un salto di qualità di una destra che, da tempo, investe sulla Cultura e sul rafforzamento e la legittimazione di una specifica cultura reazionaria.

E sono molte le forze, autonome e giovani spesso, dell’attivismo culturale, dal basso, che potrebbero trovare utile sponda in un dibattito pubblico che cerchi nuove strade e nuove forme di comunicazione e di politica culturale; che non sia indifferente ai livelli occupazionali e alle possibilità di innovazione, anche tecnologica, che in questo campo possono esprimersi.

Altrimenti, occorre solo rassegnarsi ad un “eventificio”, che è, semplicemente,  un’altra forma di intrattenimento televisivo, e che, al suo termine, lascia solo cartacce e lattine da spazzar via. Ma che rafforza l’idea che sia un bene, avere qualcuno capace di portare ad Aquila, magari gratuitamente o quasi, grandi nomi dello spettacolo. Ed è un bene; se si fosse capaci di dare continuità artistica e differenziazione delle proposte, e fecondazione del territorio.

La sconfitta subita, ha a che fare con un momento storico, in cui l’egemonia è a destra. Questo non costituisce una assoluzione da nessun errore. Però, sarebbe opportuno porsi sino in fondo la domanda se, a fronte di un predominio elettorale che ha una grande continuità negli anni, sia questo, il gruppo dirigente e siano queste le modalità di pratica politica che, nel Centrosinistra, possono invertire la tendenza. Io credo che se si percorra sempre la stessa strada, sia del tutto irrealistico immaginare di arrivare in luoghi diversi da quello nel quale siamo. E siamo dentro una sconfitta.

“Aquila capitale italiana della Cultura”, richiama alla sfida di una visione, per la nostra città.

Io penso sia il caso di iniziare sin da ora, ad immaginare e costruire materialmente con altri, questa visione.

Nessuno potrà pensare di strappare Aquila alla destra, con qualche mese di campagna elettorale.

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