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Crescere coi giornaletti

Lug 19, 2023 | Recensioni

Sul tavolo del Sottosegretario al Ministero del Lavoro, quando era in via Flavia, a Roma, ad inizio degli anni Novanta dello scorso secolo, c’era una lettera che richiedeva la raccomandazione per una famiglia di Anacapri: “ famiglia numerosa, e democristiana da sempre “.

Quel Sottosegretario lì, ebbe dei guai con la Giustizia e poi, fondò un sindacato autonomo: uno di quei sindacati che firmano accordi con finte associazioni imprenditoriali, per far applicare ai Lavoratori contratti orrendi, con salari bassissimi e che non prevedono il diritto alla Maternità, e obbligano a fare straordinari malpagati, tra l’altro.

Capitava di ritrovarsi queste carte per le mani, aggirandosi per le stanze del Ministero, nelle pause di lunghe trattative notturne.

“ La Costituzione, al suo primo articolo, recita che l’Italia è una repubblica de… de… de… ? Democratica… – suggerisce l’esaminatore – fondata sul la… la… “

Fondata sul/sulla

lavoretto…

ladrocinio

lamentazione

lamenzogna

lafurberia…

E nella prima scena del film, il signor Bottacin, esaminando classificato democristiano in un concorso pubblico, ottiene il sospirato posto fisso, senza nulla conoscere, di quello che gli viene chiesto.

Postino, nel 1978.

La politica governa i cambiamenti economici e sociali, in nome, in primo luogo, della propria sopravvivenza al potere.

Il processo di inurbamento, e l’uscita dalle campagne di intere famiglie.

Si smette d’andare al cesso in un casotto di legno in mezzo all’aia, e si va in un appartamento dalle pareti di carta velina, che però ha l’acqua corrente, e il bagno in casa; e tirare lo sciacquone, è l’inaugurazione della nuova vita.

Una casa, le cui finestre, danno esattamente sul cinema Odeon.

E questa, è davvero la stagione in cui il cinema racconta il cinema.

Le sue storie, e le sue sale. Come specchio di un mondo che muta, e che il cinema racconta, nei suoi cambiamenti: da quelli superficiali, a quelli sempre più profondi. Tanti film, si sono cimentati nella stagione cinematografica 2022-2023, con questa tensione narrativa; e anche “Le mie ragazze di carta”.

Tutti, forse alla ricerca di una chiave interpretativa, di un simbolo che rappresenti la fine di un tempo storico: quello della relazione collettiva con altri, come “normalità” del vivere, ormai oltrepassato dall’isolamento individuale dei social, e dal consumo bulimico dei centri commerciali e dei bar della cosiddetta “movida”.

Anche a Lecce, c’era un cinema “Odeon”. Nell’antica Grecia, l’odeon, era un edificio destinato ad ospitare musica, canto. Il cinema Odeon di Lecce, era ricavato all’interno di un edificio di proprietà del Monopolio di Stato dei tabacchi: un edificio di proprietà pubblica quindi, nel pieno del centro storico, posto di fronte ad una chiesa dedicata alla Madonna del Rosario, il cui culto, nel Seicento della cristianità, e soprattutto del sud Italia, era assai diffuso, perché era stata la Vergine, per la devozione popolare, ad aiutare l’armata cristiana contro i Turchi, nella vittoria della battaglia di Lepanto del 1571.

E anche il cinema Odeon di Lecce, esattamente con la seconda metà degli anni ‘70, raccontata nel film, proprio come il cinema Odeon di Treviso – e come il “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore – era stato trasformato in un cinema “ a luci rosse”. Uno di quei cinema che, per reagire alla crisi delle sale cinematografiche, ormai in diretta, e perdente, competizione con la diffusione casalinga del televisore, che proprio in quegli anni rompeva il monopolio della RAI, con nuovi canali “privati” che si impadronivano dell’etere, trasmetteva soltanto pellicole porno.

Una breve stagione di clandestinità collettiva, per militari di leva in libera uscita e per uomini assetati di fantasie compiacenti, presto chiusa dalla nuova svolta tecnologica delle videocassette.

Il crinale della fine degli anni ‘70, raccontato nel film “Le mie ragazze di carta”, è quello della provincia del Nord Est che, improvvisamente, smette di essere attraversato dalle solidarietà e dalle storie della campagna, e vede affermarsi una filosofia totalizzante.

Solo gli “schei”, i soldi, rendono una persona importante e rispettabile. E non importa, come questi soldi vengano realizzati e accumulati: persino il proprietario di un cinema porno, pubblicamente esecrato, con i soldi a disposizione e la Mercedes nuova, diventa un riferimento, per le persone, che guardano con invidia e desiderio, la sua temporanea ricchezza.

E’ la provincia che scopre il lavoro a domicilio e a a cottimo, col quale può realizzare il proprio sogno d’avere un televisore a colori, e che proprio con quel lavoro a domicilio, affamato di soldi, proietta alcune sue imprese, a partire da quelle tessili, nel firmamento delle multinazionali mondiali, rompendo lo schema fordista della fabbrica in cui un bene era realizzato dall’inizio alla fine, destrutturando invece il lavoro, frammentato nelle sue diverse fasi, ognuna delle quali appaltata ad un soggetto diverso – ognuno dei quali con brama di profitto – ma sempre commercializzando il prodotto finale con un unico marchio, e distruggendo così, dall’interno, il potere contrattuale dei Lavoratori e del Sindacato: con l’illusione che tutti potessero essere imprenditori di sé stessi, trasformando fattorie e cascine in piccoli laboratori manifatturieri e fabbrichette che hanno finito col distruggere il paesaggio e l’ambiente, in attesa, a loro volta, d’essere desertificate, solo due o tre decenni dopo, dalla globalizzazione finanziaria.

Ma questi, sono temi che, nel film , sono solo accennati: restano sullo sfondo di una narrazione che poggia il suo sguardo vagamente malinconico – come chi decida di ricordare il proprio passato, nella sua bellezza, smussandone asperità e contraddizioni e conflitti – sul processo di crescita di un ragazzo e della sua famiglia. Processo di crescita, segnato da fratture e separazioni successive.

L’abbandono della campagna per la città.

L’incontro con la diversità che, paradossalmente, con la sua strana alterità, diventa capace di gettare i semi per la ricomposizione di una crisi coniugale, una volta che con essa sia finita la frequentazione.

L’inizio dell’adolescenza, che impara l’attrazione per la donna, solo dal porno ( che non è sesso, e, tanto meno, amore ), trasportandosi in un mondo fantastico che dimentica ogni dimensione reale del rapporto tra persone – come avviene oggi con la pornografia gratuita in rete; con la differenza, rispetto a ieri che, almeno, un giornaletto, qualche barlume di fantasia te lo stimolava, mentre oggi nulla, è lasciato alla fantasia – .

Un rapporto tra persone che si coniuga, prima nell’amicizia con un novello Lucignolo, che la vita spinge lontano, e poi nel rugby, che richiede impegno personale e attenzione agli altri e, infine, nell’inizio di un possibile amore, che trova il suo spazio complice, proprio nel cinema a luci rosse, svuotato, coi sigilli dell’autorità giudiziaria, dal bigottismo di facciata: lo stesso che, oggi, pretende i crocifissi nelle classi, o il sostegno a famiglie “tradizionali”, mentre lascia tutto il resto dell’esperienza umana al Mercato, purché sia clandestino e non visibile: come una polvere sotto il tappeto di una casa piccolo borghese.

Andrea Pennacchi, ci regala un signor Bottacin stretto parente del Marcovaldo di Italo Calvino, la cui ingenuità gli consente di varcare porte che altri considerano malate ed infette. Neri Marcorè è un prete che, per vivere davvero, deve separarsi dai suoi luoghi, dal suo rugby, e forse anche dalla propria tonaca.

Una storia che ha molte storie dentro.

In cui i sommersi non sanno di esserlo, ma anzi credono d’essere le colonne della società, ed in cui l’unica salvata è forse una ragazzina capace d’inseguire i propri sogni.

Il film indaga un tempo, che era il mio tempo.

Della mia esperienza personale sono molte le cose, che mancano dentro il film. Ma, d’altra parte, la mia esperienza personale, non è né la verità, né, forse, neanche la realtà.

La realtà, è un fumetto di carta.

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