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Quasi Cento Ancora

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Storia finale del bidello del Liceo

Ott 25, 2022 | Quasi cento ancora

Angela, ogni tanto, si cercava nello specchietto retrovisore, mentre stava guidando.

Era buio, e di sé scorgeva, quando il riflesso di un lampione acceso entrava dal finestrino dell’auto in corsa, il bordo lontano dell’occhio destro, e la linea di kajal che ne prolungava leggermente la curvatura, verso l’alto, e i capelli mossi, rossi, gonfiati dalla piega del parrucchiere, disordinati come un mattino dopo l’amore, che le coprivano appena l’orecchio.

Angela scendeva da via della Crocetta, seguendo la curvatura della strada, incerta però, sul proprio lato destro da tenere, e sconfinando, talvolta, oltre la mezzeria – che non era segnata a terra da alcuna striscia bianca – per rientrare subito dopo, nel proprio senso di marcia, con un movimento brusco delle mani, aggrappate, quasi, al volante, per non scivolare via.

Oltrepassò velocemente l’incrocio senza fermarsi e scese per il circuito di Collemaggio.

Guardò alla sua destra, verso la massa scura, in alto, della Basilica, che pareva prolungare fino al cielo i contrafforti della collina.

Sotto, lungo il fianco dell’altura che saliva, intravedeva le ombre di alberi anneriti e cespugli bradi, rinserrati dietro una recinzione che correva lungo tutto il bordo interno del marciapiede, e i profili in pietra di camminamenti spersi nel buio.

Era l’Orto Botanico, che aveva visitato con la sua classe, quando andava alle medie; totalmente abbandonato, da anni ormai.

E, mentre sentiva la discesa acquisire velocità alleggerendole le gambe, Angela si chiedeva se tutta quell’incuria, non favorisse i sempre attuali progetti di edificazione su quel fianco di colle che, ai pellegrini venuti da lontano, nei secoli passati, doveva apparire come una nuvola, che s’ergeva sul piano boscoso traversato dal fiume, e alla cui sommità celeste, sorgeva la corona dell’edificio in pietra bianca e rosa.

Ora, era tutto infossato tra capannoni e chioschi e case rinfuse.

Frenò bruscamente, appena si rese conto d’essere quasi sull’incrocio con la Statale 17.

Anche se, a quell’ora della notte, non passava nessuno.

Angela si sentì in gola un respiro più veloce, e la vaga consapevolezza che, quella lunga discesa appena conclusa, fosse un po’ come il tempo che le stava passando accanto. E che la sfiorava, quando le risorgevano dentro certi accadimenti rimasti fermi, ad aspettare d’essere ascoltati come memoria, come, ad esempio, quando parlava con Signor Peppe, il bidello del Liceo; o che le sbatteva contro, mentre cercava di ricostruire dentro di sè, l’esatta sensazione di un colpo ferroso e sordo delle lamiere in un incidente non ancora successo e i vetri del parabrezza frangersi e rovinare in pioggia sulla strada, e tutto fermarsi spezzato.

Il petto pareva cartocciarsi, appena sotto lo sterno, in mezzo ai seni, e il respiro le pareva farsi più breve, e aspro.

In gola sentiva l’acido del vino bevuto, fino a poco prima, da sola, seduta al tavolino di un locale in centro.

Angela aveva venti anni, e, dopo il liceo, s’era iscritta alla Facoltà di Lettere, ad Aquila. E proprio vicino al liceo, qualche giorno prima aveva letto il manifesto funebre che annunciava la fine del percorso terreno di Signor Peppe. Che se ne era andato in silenzio e senza disturbare. Su quel manifesto, infatti, c’era scritto che il rito funebre si era già svolto. La famiglia chiedeva che, chi avesse voluto ricordarlo, poteva comprare un libro, e regalarlo, secondo le precise volontà del defunto.

Seduta ai tavolini del locale, Angela, mentre beveva il terzo bicchiere di Calafuria, sfogliava le pagine di un libro di Albert Camus, che s’era regalata. E si guardava intorno, tra le persone di cui non sentiva le voci, né vedeva i volti, spersi nella sera ingiallita di autunno leggero.

Mentre dirigeva verso il passaggio a livello che separava la Statale 17, dalla Statale 5 bis si sentiva leggermente galleggiare, quando guardava oltre i fari, e le pareva ci fosse qualcosa, dall’altra parte, qualcosa ch’era sicura di non trovare mai.

Era stretta, Angela, e da tanto tempo aveva smesso di correre e sorridere.

Doveva lavorare, per studiare.

Lavori brevi. Senza senso. Un mese, due mesi di contratto. E poi nulla. E poi ancora. Neanche il tempo di capire gli odori di un luogo, che quello spariva subito via, come le case che s’erpicavano alla sua sinistra, protette dai cancelli chiusi.

E lo studio, iniziato con entusiasmo, le pareva allontanarsi in una polvere di crediti e professori distanti, come la collina di girasoli, ormai seccati, che s’alzava alla sua destra, scurita, mentre un pezzo di luna alta, nuda, le vagava attraverso.

Angela sentiva chiudersi, gli occhi, e accostò l’auto, sul fianco della strada, in un piccolo angolo sterrato.

Accese il cellulare, e iniziò a guardare un vecchio video che, quasi quattro anni prima aveva inserito su Youtube. Il video era stato visto, da allora, da circa trecento persone: c’era il Signor Peppe che raccontava di Aquila e delle sue scuole, tante ancora non ricostruite. Non lo sapeva, Signor Peppe d’essere ripreso al cellulare mentre parlava, e Angela lo guardava muovere le mani, mentre spiegava, per sottolineare i passaggi più importanti, o difficili, del suo discorso. E pensava, Angela, che lui, Signor Peppe, non lo sapeva che dopo poco tempo sarebbe morto. E pensava, Angela, che nemmeno lei, immaginava di star parlando con qualcuno che stava per finire di essere, e che poi, in realtà, lei avrebbe visto ancora per poco tempo, e che poi, Signor Peppe sarebbe rimasto ad aspettarla, da qualche parte, e, per trovarlo, Angela, avrebbe dovuto voltarsi indietro, e cercarlo. E cercare lui proprio.

C’era qualcosa, qualcosa che le sembrava di aver visto, tra le pagine del libro di Camus, che raccontava di una epidemia e di un tempo passato, in un luogo dall’altra parte del mare: come essere santi senza un Dio, si chiedeva un personaggio di quel libro; e c’era qualcosa, un tono, nelle parole di Signor Peppe, che parevano ad Angela l’inizio di quella passione necessaria a non rassegnarsi.

Era ora di tornare a casa.

Ed era anche ora di cambiare casa.

Colonna sonora: “ Angel “ – Danse Society –

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