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Quasi Cento Ancora

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Storia del padre di un mostro

Mar 21, 2024 | Quasi cento ancora

Era arrivato nella mia vita, Tonino Isolatto, mentre ero in Seconda Media.

Era entrato improvvisamente nella classe. Senza che nessuno lo avesse annunciato, un giorno in cui la professoressa di Lettere, stava spiegando. La scuola era iniziata da pochi mesi, e anche la mattina di lezione, ormai, andava verso la seconda ora, al termine della quale, ci sarebbe stata ricreazione, per una decina di minuti.

Entrò accompagnato da una donna, vestita di cotone marrone, capelli corti, e occhiali, il viso spigoloso e duro.

Ricordo che la professoressa interruppe la sua lezione, e, quasi senza cambiare tono di voce, ci presentò Tonino, e lo fece sedere a fianco a me.

Per poterlo far sedere al mio fianco, fu necessario togliere la sedia vuota che avevo accanto: Tonino aveva una sedia sua, a rotelle, con la quale si spostava, e sulla quale era seduto sempre, o quasi sempre.

Tonino era sordo, e, anche se portava con sé un apparecchio acustico, ascoltava di più leggendo il movimento delle labbra. Il più del tempo, lo toglieva, l’apparecchio acustico, perché spesso, mandava un fischio, acuto, e Tonino strillava, di dolore. Forse era un modello vecchio. E forse perché era sordo, quando provava a parlare, e le sue parole erano sillabe strozzate, e gesti muti, il suo tono di voce era molto alto, come se avesse paura che nessuno lo ascoltasse, se lui stesso non riusciva a sentire i propri tentativi di parlare.

Tonino guardava sempre la cattedra, e il professore, o la professoressa che tenevano lezione, con la testa poggiata su una mano, in equilibrio difficile, perché i muscoli di Tonino obbedivano a leggi proprie, e certe volte, scivolavano, lasciandogli dondolare la testa. E sorrideva, allora, Tonino, e il suo sorriso era quello di un bambino incantato da una favola. Gli occhi erano vivi, e veloci, e parevano consapevoli; e della propria condizione, e della possibilità di sperimentare bellezza, anche in quella condizione.

Tonino, era bravissimo, a disegnare. Disegnava meglio di me, e io ero felice, per questo. Provavo ad imparare, da lui; ma era impossibile comprendere come, da quelle mani rattrappite e dai movimenti bruschi, fosse possibile inventare alberi dolcissimi, o volti credibili, di donna, soprattutto; sempre leggermente malinconici, come se i loro pensieri fossero altrove, mentre lui ne catturava lo sguardo.

L’insegnante che, specificamente, lo seguiva, restava sempre in classe, in piedi, con la schiena poggiata sul muro di fondo dell’aula, ed interveniva solo quando Tonino manifestava insofferenza, per qualcosa, o aveva bisogno d’andare in bagno.

Era sempre difficile, guardare le sue gambe tristi, che non potevano reggerlo, lasciarsi andare allungate, senza peso sulla terra, quando veniva alzato dalla sedia, per fare i suoi esercizi in palestra, durante l’ora di Educazione Fisica. Avrei voluto dargli un po’ della mia forza, nelle gambe, per permettergli di camminare da solo, qualche volta; di decidere davvero dove andare.

Facemmo amicizia, per quanto possibile.

Io non sapevo come stare con lui. Io, non avevo mai visto, un ragazzo come lui; anzi, non immaginavo nemmeno potessero esistere ragazzi così.

Sapevo, dell’esistenza di gravissime deformazioni nelle persone, avvenute, per me, per ragioni misteriose. Una vecchia enciclopedia che avevamo in casa, conteneva decine di fotografie di persone colpite da una radicale diversità da me. M’era capitato, prima di conoscere Tonino, di sfogliare quelle pagine, con crescente angoscia, come se stessi guardando i personaggi di un terrificante film dell’orrore, e non mi chiedevo perché fosse possibile essere in quel modo, e nemmeno mi domandavo cosa potesse essere vivere in quelle condizioni, che apparivano davvero difficili. E, come facevo per le storie che avevo paura ad ascoltare, avevo presto imparato ad allontanare da me quei pensieri. Li nascondevo sotto il tappeto delle mie notti, impegnate a leggere, per paura dei sogni che facevo, a quel tempo.

Ricordo che, un giorno, l’insegnante che seguiva Tonino, venne nella mia casa. Era ancora una studentessa universitaria, in realtà, e aveva preparato un gruppo di domande, che avrebbe voluto fare ai miei genitori, le cui risposte, sarebbero per lei state utili, insieme a quelle anche di altri, per scrivere la sua tesi di laurea.

Io avevo paura che papà rispondesse male, da persona non preparata.

Ma quando lei gli chiese di dare una definizione della parola “handicap”, lui le rispose che l’handicap, erano le impossibilità di ciascuno di noi.

Non la capii del tutto, quella frase, però mi piacque, e mi parve avesse anche impressionato l’insegnante. Nel resto del loro colloquio, io mi senti tranquillo, per mio padre che mi pareva avesse superato un esame difficile.

Tonino Isolatto, sparì dalla mia vita, come vi era entrato: d’improvviso.

Un giorno, che in realtà non ricordo benissimo, forse Tonino diede uno schiaffo al fondoschiena di una mia compagna di classe; o forse ebbe una delle sue crisi, forse epilettiche. Forse si sentiva solo strano, o magari percepiva sé stesso come un mostro che non avrebbe dovuto essere in quel posto. Magari immaginava di poter avere un corpo perfetto, ed un’anima perfetta, ed immaginava che qualcuno lo notasse. Ricordo solo che suo padre, venne a riprenderlo in classe, col volto scuro e arrabbiato, e ricordo Tonino piangere, mentre veniva fatto uscire dalla classe.

Da allora, non lo vidi più.

Ricordo che, per un certo periodo, m’ero aspettato di rivederlo in Terza Media, ma, ad un certo punto, avevo anche smesso di pensarci.

La Scuola media dove andavo, dopo il terremoto del 2009, non l’hanno ricostruita. E’ lì ancora, in un angolo di Viale Duca degli Abruzzi, nuda e polverosa e senza più bambini dentro. Somiglia ad un vecchio carillon, di cui abbiano distrutto il meccanismo, e lasciato solo la scatola vuota, ad aspettare che qualcuno la butti via.

Pochi giorni fa, ho rivisto Tonino; sulla foto di un articolo di giornale.

Era con suo padre e certi politici abruzzesi.

La foto era stata presa durante una iniziativa di ringraziamento per il Comune, che aveva messo a disposizione una somma di denaro, specificamente dedicata a chi avesse gravi invalidità. Ad ogni famiglia sarebbero state date poche centinaia di euro, per una volta sola, destinate a pagare chi accudiva le persone. Qualunque cosa facessero. Più soldi venivano dati a chi tenesse gli invalidi in casa con un badante.

Ho pensato che Tonino, che, nella foto, guardava verso le sue povere gambe, e appariva appesantito nel corpo, davvero non apparteneva allo stesso luogo dove vivo io.

O, forse, ci apparteneva molto più di me, visto che il suo corpo era utile solo per mettere insieme qualche soldo di assistenza. E che il denaro sembra essere il modo con il quale ciascuno di noi smette di far domande.

Ho sognato, Tonino, dopo.

Io spingevo la sua carrozzella, e mi accorgevo che il suo peso, scompariva sempre di più; e più mi risultava facile farlo andare, più io iniziavo a prendere velocità.

Forse abbiamo volato, nel mio sogno, o forse il mio sogno si è solo spento come una meteora veloce nel cielo di Campo Felice la notte di San Lorenzo; ma m’è sembrato che Tonino aprisse le braccia come ali, e sorrideva.

Colonna sonora: “Creep” – Radiohead –

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