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Quasi Cento Ancora

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Storia dell’operaio con la testa bassa, che s’era aperto un’impresa.

Giu 16, 2023 | Quasi cento ancora

Io, lo so, come è andata la storia.

Dino, lavorava giù a San Demetrio, in quella azienda grande che poi ebbe dei problemi.

Forse è stata interessata, non tanto tempo fa, da una procedura fallimentare, per alcune delle società che hanno lì la sede fisica, e che sono diverse tra loro seppure appartenenti ad un unico gruppo proprietario; questo non lo so, con certezza, ma, in fondo, è importante solo in parte, per capire la storia di Dino.

Sarebbe importante però, in generale, saper bene di queste cose, per capire come funziona un certo tipo di economia: quella che ha goduto magari di importanti commesse pubbliche, e che poi s’accorge d’avere anche a disposizione fior di legislazioni fatte per proteggere un ex Presidente del Consiglio dei Ministri: per esempio la legislazione sul “Falso in Bilancio”, che, di fatto, ha reso legale avere bilanci truccati, utili a costruire fondi neri, per pagare tangenti, in qualche caso, o più semplicemente, funzionali a spartire tra i proprietari dell’azienda, più facilmente e senza tasse, gli utili generati dal lavoro degli operai.

Non che quell’azienda sia stata interessata da questioni di questo tipo. Io, di certo, non lo so. E mi pare pure che non ci siano indagini in giro.

Da anni, non ci sono indagini in giro, per quel che riguarda le imprese grandi, o la politica, in verità. Anche perché, ogni volta che qualcuno ci prova, proprio grazie ad altri provvedimenti legislativi, costruiti per proteggere un ex Presidente del Consiglio dei Ministri, si alza una canea micidiale, tra stampa e politici eletti ad ogni livello, che la metà basta, e per non offendere il potere, spesso, certe indagini, manco iniziano. Meglio evitare di disturbare. Soprattutto perché, poi , lo stesso svolgimento dei processi, e le loro sentenze finali, sempre grazie ad altri provvedimenti legislativi costruiti per favorire e proteggere un ex Presidente del Consiglio dei Ministri, diventano difficilissimi, da celebrare e portare a conclusione. Tra legittimi impedimenti, malattie, e prescrizioni abbreviate, certi processi, manco li fanno iniziare che sanno che è inutile, già da prima.

E poi, non bisogna pensare che una sentenza, sia la verità.

Una sentenza è solo un giudizio, quando e se arriva, su come, dentro un’aula di Tribunale, è stata raccontata una storia. Una sentenza, può non essere verità, e magari nemmeno giustizia. La Legge, hanno fatto in modo che non sempre sia eguale per tutti. Di sicuro, è più eguale per quelli che vengono votati alle elezioni, perché sembra che non abbia importanza, quanto uno ha infranto la legge. Barabba poteva essere il Presidente del Consiglio dei Ministri.

E oggi quasi nessuno ci troverebbe nulla da ridire.

In ogni caso, una qualsiasi indagine, o sentenza, non hanno quasi niente a che vedere con la capacità di una comunità di esprimere un giudizio su una persona, o su un’impresa.

A meno che uno non sia Erode, imputato di strage d’innocenti, è difficile che il giudizio di un Tribunale, coincida con quello che dà la città.

E pure con Erode, qualcuno è capace di trovarci giustificazioni plausibili, per il suo comportamento. Insomma, a me pare che quello che accade dentro le aule di un tribunale, non abbia moltissimo a che fare con la formazione di una opinione in chi sta intorno. E certe volte, bisognerebbe indagarne le motivazioni. Giusto per capire, almeno.

Comunque. Dino era stato mandato via, da quella azienda grande.

Formalmente, si era dimesso, in realtà. Perchè un tempo, in quella azienda grande, si era assunti solo se prima si metteva la propria firma sotto una lettera di dimissioni dal lavoro, che era senza data. La data, l’avrebbe scelta l’azienda grande. Quando uno s’ammalava troppo, o una restava incinta, e, soprattutto, quando qualcuno si fosse rifiutato di fare gli straordinari, o di prendere buste paga false. Immediata, la data, se qualcuno avesse voluto iscriversi ad un Sindacato.

E Dino, per essere assunto, la sua lettera, l’aveva firmata.

E, al momento giusto, era pure venuto fuori il giorno, in cui l’aveva firmata.

Un po’ di tempo dopo essersi volontariamente dimesso, Dino era tornato, in azienda.

E aveva chiesto un favore.

Aveva chiesto di essere assunto con un contratto a termine, anche per una sola settimana. Aveva detto, al ragioniere che si occupava di gestire il personale, che non gli interessava, esser pagato. Gli bastava che l’azienda versasse i contributi all’INPS.

Il ragioniere, che, da solo, certe decisioni non è autorizzato a prenderle, si consultò con uno dei proprietari dell’azienda. Un tipo coi baffi, e pochi capelli in testa. Uno di quelli che stanno sempre seduti a grandi tavolate al ristorante, e stanno spesso in silenzio, e si guardano intorno, e sorridono, e mangiano, e bevono, e puliscono sempre tutto il piatto, e sembra che si stiano divertendo, con tutti gli altri; ma invece li guardano, li ascoltano, li controllano.

E il tipo coi baffi, decise di incontrare Dino.

Se lo portò nel suo ufficio, da solo.

E gli spiegò che lui era contento, di aiutare un vecchio collaboratore sempre fedele e rispettoso, e disponibile. E, per questo, consentiva a questa richiesta d’assunzione; aggiunse però, che i tempi erano tristi, e l’azienda, purtroppo, sempre sul filo del rasoio, e poi… e poi, in quel momento preciso, avrebbe potuto avere bisogno esattamente di una persona come lui: c’era giusto da smontare un macchinario, in fabbrica, uno di quelli che lui conosceva bene. Una ditta d’appalto, gli aveva chiesto un sacco di soldi, per un lavoretto da niente. Se Dino si fosse dato da fare, nel giro di un paio di giorni, poteva riuscire a smontare tutto. Al trasporto dei pezzi in un’altra azienda, avrebbero poi provveduto loro.

Il tipo coi baffi, spiegò a Dino che a loro andava benissimo: assunzione di una settimana, senza pagamento dello stipendio, ma con pagamento della contribuzione.

Dino, io lo so, abbassò la testa guardandosi le mani, e chiese quando poteva cominciare.

Quel periodo di lavoro, serviva a Dino, per poter richiedere all’INPS, l’Indennità di Disoccupazione. L’Indennità di Disoccupazione, non spetta, a chi si sia dimesso. E lui, s’era dimesso dall’azienda grande, volontariamente, per di più. E senza quella settimana di lavoro, non avrebbe potuto essere un disoccupato involontario, meritevole, quindi, d’Indennità di Disoccupazione.

Serviva, a Dino l’Indennità di Disoccupazione.

Aveva scoperto che, una volta ottenuta l’Indennità di Disoccupazione, avrebbe potuto chiedere all’INPS, di vedersela pagata tutta insieme in un’unica soluzione, in misura pari a quello che gli sarebbe spettato prendere per tutto il tempo in cui avrebbe avuto diritto a vedersi pagata l’Indennità.

Ma, per aver diritto a questo, avrebbe dovuto aprire una sua propria impresa. Diventare cioè, lui stesso, imprenditore. Ci volevano un po’ di questioni burocratiche, però era possibile.

Dino pensava che avrebbe potuto lavorare bene, da solo.

Era capace di lavorare, Dino. Lavorava da quando aveva quattordici anni, perché a scuola non era più voluto andare. Meglio portare a casa qualche soldo, invece che fare le superiori, così, tanto per perdere tempo. E s’era abituato al lavoro, Dino. Al silenzio. E a finire le cose iniziate.

Per oltre venticinque anni aveva lavorato. Passando da botteghe, a fabbriche, sempre più grandi. Almeno dieci ore al giorno, certe volte anche al sabato e alla domenica. Non c’era molto altro da fare, al mondo. Ed era bello, quando tutti i pezzi di una cosa meccanica combaciavano tra loro, e si muovevano, lisci, senza strusciare e stridere, come faceva certe volte il gesso sulla lavagna.

Non aveva paura, di mettersi in proprio Dino.

Aveva trovato un commercialista che lo aiutava. E, in poco tempo, Dino aveva aperto la sua azienda, e cominciato a prendere lavori in giro. Perchè Dino era bravo, e conosceva il suo mestiere. Manutenzione, montaggi e trasporti; riparazione macchinari.

In un tempo relativamente breve, Dino non poteva più far fronte, da solo, a tutto il lavoro che era riuscito a trovare. Non solo ad Aquila, ma anche in provincia.

Aveva preso in affitto la porzione di un capannone, nel nucleo industriale di Bazzano. Un posto dove, un tempo, era stata installata una aziendina che prendeva in appalto, lavori di precisione dall’azienda aquilana che si occupava di tecnologie satellitari, e che aveva reimpiegato qualche operaio dello stabilimento gemello che però s’occupava di sistemi missilistici, e che aveva chiuso, cancellando oltre trecento posti di lavoro, senza lasciare nulla dietro di sé.

Anche la piccola aziendina, aveva finito col chiudere.

Dino aveva iniziato ad assumere persone che lo aiutassero.

Non si potevano più firmare, le lettere di dimissioni, senza nemmeno scriverci sopra la data.

La Legge, era cambiata, e ora prevedeva una procedura telematica, che non si poteva falsificare, almeno in teoria, per consentire di presentare vere dimissioni volontarie.

Per questo Dino, ai lavoratori che volevano lavorare con lui, faceva firmare le buste paga, prima di consegnarle loro nel mese di riferimento. I lavoratori venivano assunti con un contratto a termine di due anni e, anticipatamente, firmavano ventiquattro buste paga ( più altre due riferite alla tredicesima mensilità ), e poi Dino gli consegnava ogni mese, in contanti, più o meno la metà delle cifre riportate in busta. E quello era lo stipendio. E quello gli doveva bastare.

Se volevano lavorare, era così; altrimenti, sarebbe stato loro ricordato, che la porta d’ingresso all’azienda, era la stessa che veniva utilizzata per uscire, dall’azienda. E loro potevano decidere d’uscire in qualsiasi momento, Dino non li avrebbe fermati; nemmeno uno di loro.

E quando i contratti a termine finivano, certe volte le persone, semplicemente, tornavano a casa. Altre volte li si faceva restare qualche mese fuori dall’azienda, e poi li si riassumeva, con un altro contratto a termine, che però, formalmente, prevedeva il loro impiego in mansioni leggermente diverse da quelle contenute nel  contratto scaduto.

E così il giro a metà prezzo, poteva ricominciare.

Io, questa storia la conosco.

Me l’ha raccontata uno degli operai di Dino. Un amico mio. E io ci credo a quel che mi ha raccontato, perché lui è uno che le bugie, non sa neanche come sono fatte.

Mi ha detto che questa storia, Dino la racconta a tutti gli operai che assume, quando ha deciso che vuole assumerli, e prima di chiedergli, dopo che ha finito di raccontare la storia, se sono davvero sicuri, di voler lavorare con lui.

E, a ciascuno di loro, spiega che questo è l’unico modo di stare al mondo. Bisogna essere come bambini che non perdono un colpo, e che a scuola non ci sono andati, perché non serve a un cazzo, andare a scuola, ed è bello non sapere niente. Quello che ti fanno lo devi rifare. E’ giusto calpestare chi sta sotto di te. Perchè chi sta sotto di te, vuol dire che non è buono a stare sopra. E se lo calpesti, non sale sopra a prendersi il posto tuo, che ci stai così bene, sopra.

Dino dice che le persone vanno educate. Come è stato educato lui.

E Dino ringrazia sempre, chi lo ha educato. Perchè in questo modo, gli ha dato la possibilità di costruirsi un futuro libero. E un giorno, dice Dino, ad Aquila, ci sarà sicuramente qualcuno che proporrà di dare il suo nome ad una strada, o ad una piazza.

Come andrà avanti la storia, non lo so.

Ma so che Dino ha ragione.

Colonna sonora: “ Never miss a beat “ – Kaiser Chiefs

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