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Gli stereotipi, sono per i pigri. Ai giovani, non offriamo neanche un sogno.

Dic 15, 2023 | Storie

“Il sogno americano”, consisterebbe nell’idea che, attraverso il duro lavoro, il coraggio, la determinazione, sia possibile, per chiunque, e qualunque sia la sua origine, raggiungere un migliore tenore di vita, e la prosperità economica, scrive Wikipedia.

“Il sogno americano”, è al centro di innumerevoli narrazioni, cinematografiche innanzi tutto, che raccontano come, attraverso il proprio talento, e le proprie competenze, sia possibile emergere: diventare qualcuno; acquisire sicurezza economica, ricchezza, persino.

In Italia, questa narrazione, negli ultimi anni, ha avuto una sua particolare declinazione, perfettamente espressa da quello che che oggi non è più il Ministero della Pubblica Istruzione, ma è diventato il Ministero dell’Istruzione e del Merito. In Italia, si è data enfasi al cosiddetto “merito”, senza preoccuparsi d’analizzare che, spesso, il merito, soprattutto scolastico, è, in realtà, frutto di felici condizioni di partenza. Una condizione personale, e familiare, di sicurezza economica, quando non addirittura di prosperità, favorisce grandemente l’acquisizione di un merito scolastico. Per questo, spesso, la narrazione che riguarda il “merito”, è un modo di nascondere il perpetuarsi di diseguaglianze che discendono dalle diverse condizioni economiche delle persone.

Le forze politiche, ed economiche che, attraverso questa narrazione mascherano le profonde ingiustizie presenti nella nostra società, ritengono inutile, e anzi sbagliato, qualunque intervento teso a ridurre le diseguaglianze di partenza delle persone, perché, se uno è “bravo”, comunque, sarà capace di emergere.

In sostanza, aiutata dalla propaganda del “sogno americano”, cui ognuno potrebbe aspirare in una falsata rappresentazione della realtà odierna, ha una forte egemonia culturale l’idea, secondo la quale chi sia disoccupato, o in difficoltà economica, è personalmente responsabile della propria condizione: non ha fatto abbastanza per meritare altro nella propria vita; meglio ancora: si merita quel che ha, cioè, poco, o nulla.

Ci sarebbero molti numeri, ricavati da statistiche ufficiali, utili a raccontare una realtà totalmente diversa, da questa. Molti studi testimoniano la sclerosi del nostro paese, quanto a possibilità di eguaglianza, ma anche di crescita e mutamento della propria condizione, che, raramente, si discosta significativamente da quella della famiglia d’origine, ed anzi, da tempo, si registrano prospettive persino di peggioramento per i più giovani.

Però, ci sono anche delle storie, che raccontano molto meglio dei numeri, come oggi viviamo in un sistema che è costruito appositamente per escludere le persone che non abbiano condizioni di partenza già favorevoli, perpetuandone lo stato di minorità e di subordinazione, qualunque cosa facciano.

Lui, è un giovane uomo di origine straniera. Da pochi mesi è divenuto cittadino italiano. Vive in Italia da oltre venti anni, e la sua famiglia d’origine ha vissuto condizioni difficili, e di disagio.

Ha svolto i suoi studi in Italia; dal Liceo, alla Laurea, in discipline economico-giuridiche, conseguita presso l’Università di Aquila col massimo dei voti, e, ora, frequenta un Master all’Università di Teramo, per approfondire le proprie conoscenze.

I primi contributi, gli vengono versati quando ha venti anni; ma lui, in realtà, lavora in nero, ad Aquila, da quando di anni ne aveva sedici. Per contribuire all’economia familiare, e anche per avere una sua disponibilità economica. Più tardi, il suo lavoro, gli servirà anche per pagarsi gli studi.

Svolgeva un lavoro che gli consentiva, più o meno, di frequentare la scuola e le lezioni universitarie, e, perciò, era impegnato la sera, magari fino al mattino presto; quando tornava a casa, alle 5,30 si cambiava, e, alle 8,30 andava direttamente in Facoltà a seguire le lezioni, che però talvolta era costretto a registrare, col cellulare, perché il cervello, non ce la faceva a seguire, dopo una notte di lavoro.

Lavorava nei bar e nei pub aquilani.

Lavorava in luoghi dove, per stipendio, nel 2015, ai tempi d’oro di Renzi Presidente del Consiglio dei Ministri, riceveva un voucher del valore netto di 5 euro circa, che doveva conservare in tasca per una settimana, ed esibirlo, se fosse arrivato un controllo di qualcuna delle autorità preposte.

Ma la “movida aquilana”, non conosce controlli.

Quando era più fortunato, lavorava con brevi contratti a termine, magari part time (ufficialmente), e, ogni tanto, senza lavoro, usufruiva della Indennità di Disoccupazione.

Credo che ognuno, che non abbia vissuto queste condizioni, debba provare ad immaginare, cosa possa essere studiare, e dover lavorare, in modo precario, sottopagato e faticoso, per potersi permettere di raggiungere un obiettivo.

E questo obiettivo viene raggiunto attraverso la consapevolezza d’essere straniero, in Italia, e dover per questo fare di più; d’essere giovane, e dover per questo, fare di più; d’essere solo il barista nella considerazione degli altri, e dover, per questo, fare di più, e meglio.

L’idea, al fondo di questi sforzi, era semplice. Una idea che ha guidato tante generazioni di italiani, negli anni: l’idea che, attraverso lo studio, fosse possibile migliorare la propria condizione.

Finalmente, gli si presenta una importante occasione.

Il lavoro presso una società di consulenza, impegnata nella offerta alle imprese, delle conoscenze necessarie a partecipare ai bandi di finanziamento pubblico, europei, nazionali, o derivanti dal cosiddetto PNRR.

All’inizio, è proprio lui, sia pure alla prima esperienza lavorativa importante, a portare avanti le azioni principali riguardanti quello specifico lavoro: i suoi colleghi non hanno le stesse competenze o i medesimi titoli di studio.

Presto però, nonostante la presenza comunque di aziende clienti, ed interessate a quel lavoro, questa società di consulenza – nata in realtà per volontà di soggetti che hanno relazioni con la politica al governo ai vari livelli del nostro territorio, e che, per questo, nei fatti, si ponevano solo come mediatori delle risorse pubbliche – comincia a registrare problemi; problemi talmente grandi che, per mesi, i lavoratori non percepiscono stipendio.

Lui regge fin quando è possibile, e poi è costretto alle dimissioni.

Ora, sente di non voler più, tornare indietro; di non voler più tornare ad essere “il barista”, e dice solo, che vorrebbe sparire.

Il “sogno americano”, nella sua versione italiana dimostra che un mondo del lavoro, fondato solo sull’egoismo delle imprese, mai soggette a controlli, e magari protette dalla politica, finisce solo col deprimere, pesantemente, le competenze ed il lavoro delle persone, buttando via anni e anni, investiti a studiare con profitto. Un colossale spreco di risorse, oltre che un inaccettabile uso delle persone come merce cui non è assegnato alcun valore.

Il “sogno americano”, è pieno di contraddizioni, ma credo sia davvero difficile identificare i caratteri di un possibile “sogno italiano”.

Viviamo in un Paese che da troppi anni, ha scelto il modello di sviluppo sbagliato, tutto fondato sullo sfruttamento delle persone, cui non è riconosciuta alcuna dignità, malgrado magari un bagaglio di competenze di rilievo importante. Viviamo in un Paese soffocato dagli stereotipi, per cui le opportunità offerte ad un giovane, straniero per di più, sono solo di basso livello e dequalificate, spesso.

Viviamo in un Paese che sembra incapace di valorizzare le storie personali; che è indifferente all’impegno a migliorare le proprie difficili condizioni di partenza.

E questo, lo viviamo ancor più ad Aquila, una città che ha avuto, ed ha a disposizione ingentissime risorse pubbliche per la ricostruzione, il che significa solo che queste risorse sono in poche mani e non redistribuite; che queste risorse stanno creando rendita finanziaria e non progresso, né nuove opportunità d’investimento e d’impresa, ma solo parassitismi più o meno estesi.

Mi chiedo se siamo ancora in tempo, ad offrire qualcosa di più, e di meglio, alle nuove generazioni; mi chiedo si siamo degni, noi, dei sogni di un giovane uomo di origine straniera, che sceglie d’essere italiano, perché in questa possibilità vede una condizione di miglioramento per la propria vita. Un miglioramento che non dovrebbe essere solo materiale.

Io penso, che siamo ancora in tempo.

Dobbiamo cambiare profondamente però. Perchè non è giusto, che un giovane uomo voglia soltanto sparire.

Non è giusto per nessuno, ed anzi è un segno, che i sogni, stanno finendo, se non siamo già, ai titoli di coda.

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