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Preghiera eretica

Gen 30, 2024 | Storie

Padre nostro che sei nei cieli.

E’ il volto dell’Eterno che tende la sua mano verso l’uomo di fango. Adamo, in fondo, è il primo Golem. E io mi figuro, sempre, l’affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina: questo istante prima che la vita sia donata da Te a noi. Che meraviglia.

Dio, che sei nei cieli. In tutti i cieli, Dio, nei miliardi di cieli dei miliardi di pianeti, nelle miliardi di galassie di questo infinito universo che abitiamo. E Galilei, da questa preghiera, comprese che il nostro povero mondo, non era l’unico, e nemmeno il centro di un possibile universo; i nostri cieli, nei quali tu sei, Padre, ruotano intorno al sole, e la Terra, dovrebbe essere di gran lunga più umile.

Sia santificato il tuo nome.

Per un vecchio ebreo, le lettere stesse che compongono il tuo nome, sarebbero sante; tanto che il tuo nome è semplice: il Santissimo. E dalle combinazioni delle lettere che formano il tuo nome, nasce l’universo ed ogni cosa creata. Perchè, il Vangelo di Giovanni, dice che, “In principio era il Verbo ( e la Pravda ), e il Verbo era presso Dio, e Dio era il Verbo”; perché è la parola, che crea il mondo, ed è dalle parole che tutto nasce. Che meraviglia, il potere delle parole. Quando non è oscenità e prevaricazione e violenza, e bugia. E io so, che contano le parole che si dicono; ma, ancor più, forse, contano le parole che non si dicono. E quanti silenzi, ho ascoltato, e ascolto.

Venga il tuo regno.

Del tuo regno, ho un po’ paura. Intanto, perché probabilmente, non ne farò parte. Ma se dovessi mai farne parte, dopo qualche millennio di penitenze da scontare, faccio fatica ad immaginarlo. Lo confesso. Un regno di immensa ed infinita beatitudine, non rischierà d’essere vagamente noioso ? Lo so che quello che sto scrivendo è terribilmente sbagliato, persino pensarlo. Ma io sono solo umano. Dell’umano ho esperienza, e, neanche una vasta esperienza…solo la mia personale esperienza. Io sono un essere desiderante. Mi muove il desiderio, in ogni situazione del mio vivere. Un desiderio, spero, non sempre e solo egoistico, ma comunque, desiderio, anzi, desideri, tanti, molteplici, contraddittori. Devo dire che mi sforzo di desiderare qualcosa che non faccia male ad altri, ma non sono così sicuro di riuscirci sempre. Una volta al Tuo cospetto, Padre, cos’altro potrei desiderare ? Certo, Tu potresti dirmi che io, dinanzi al tuo incredibile fulgore, non avrei null’altro, da desiderare, avendo già tutto il possibile dinanzi a me. Ma io non ne sono così sicuro, proprio perché temo che sia la mia natura, ad essere in difficoltà con la totalità. Io sono abituato alla mancanza, e se avessi tutto, quasi certamente, cercherei altro, e, come si dice, ontologicamente, oltre te, oltre l’Essere, null’altro potrebbe esserci. La Tua presenza annulla la mia natura, Dio. Sto messo malissimo.

Sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra.

Io penso alla Cappella Brancacci, a Firenze; a quell’affresco del Masaccio, e all’Angelo con la spada sguainata che, accompagnato dalla tua luce, Dio, caccia Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre. L’uomo ha peccato, Dio, ed ha meritato di uscire dalla terra che tu gli avevi destinato, per entrare nella sua vita mortale. E’ questa, la tua volontà ? Le sofferenze che dobbiamo attraversare, nel nostro vivere, prima di arrivare alla morte ? Questa tua volontà s’impone in cielo, ed in Terra, e noi desideriamo, che sia così. Desideriamo commettere il peccato, e desideriamo la tua punizione. E’ così Dio ? Io, qui, Dio, ti penso nel Testamento Antico. Il Perdono ancora non è arrivato e io sono quell’uomo che tiene il volto tra le mani e non ha più il coraggio d’alzare gli occhi al cielo e cammina nudo, al fianco della sua donna che cerca di coprire, le proprie nudità, quelle che, prima, erano senza peccato. E qui, è qualcosa che io non ho mai capito, Dio. Tu ci hai punito per aver mangiato all’albero della conoscenza. Dovevamo restare ignoranti ? Conoscere ci fa correre il rischio d’arrogarci il diritto d’essere noi stessi Dio ? E se si tratta di quest’ultima questione, Dio, io ti capisco: nella nostra storia ne abbiam fatte di cotte e di crude, e di crudelissime, e spesso, proprio in nome di un Dio. E, in questo caso, avresti ragione a cacciarci via a pedate, per la nostra immotivata presunzione. Ma la conoscenza ? E’ bellissimo conoscere, Dio. Fossimo stati colpevoli d’ignoranza, io avrei capito. Ma la conoscenza… al limite è uno strumento, e non è detto produca il Bene o il Male; come tutti gli strumenti andrebbe indirizzato; e non dovrebbe necessariamente voler dire buttarci nel disastro degli ultimi millemila anni di storia che hanno prodotto dolore sufficiente per qualche altro migliaio di pianeti. Comunque, “Fiat voluntas Dei”, anche se la FIAT ha prodotto, in genere, pessime automobili.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano.

Solo questa frase, vale tutta una preghiera. Questa, è una frase da dire in ginocchio, a mani giunte, e, se se ne abbia il coraggio, mentre si guarda il volto di Cristo trafitto sulla croce. Nel pieno del suo dolore atroce. Perchè non è il pane che chiedo. Io chiedo l’unico pane che per me abbia senso, che è l’amore quotidiano, che, indegnamente, desidero. Ed è l’unica preghiera che io ti rivolgo, Padre. Dammi l’Amore che ogni giorno desidero. Quell’Amore umano, contraddittorio, parziale eppure infinito che io uomo conosco. Quell’Amore umano fatto di sensualità e libertà, e di cura, e di accoglienza e di aiuto e di comprensione, e di desiderio e di confronto, e di sostegno e di arricchimento e di ascolto e di attesa e di sogno e di mani tese, e allacciate e di occhi bendati nelle mani dell’altro. Quell’Amore, Dio, quello umano, che mi permette di essere, di respirare, e di scrivere, e di imparare e di voler vivere. Quell’amore che dà senso al giorno, e alla notte. Quell’Amore che sento, Dio. Io lo so, che ci sono altri tipi d’amore. Ma, per quelli, ci sono altre preghiere. Queste parole, di questa preghiera, sono il pane di cui io ho bisogno. Senza questo pane, Dio, non vale, vivere. Per una volta, credi tu a me.

Ed è bello dirle queste parole, perché sono una preghiera, e non un imperativo, anche se ci somiglia. Io ti prego, Dio, di questo pane che desidero e che solo mi nutre.

Rimetti a noi i nostri debiti.

In tutto quello che ho scritto sino ad ora, avrò collezionato un mare di peccati, e non ho neppure finito di scrivere. E non lo so, se merito d’essere perdonato. Io te lo chiedo, d’essere perdonato. E te lo chiedo anche quando già so che continuerò a peccare. Non voglio insultarti, Dio, e non penso d’imbrogliarti. Io penso, come quando ero bambino, che tu possa vedere tutto, e tutto conoscere quello che ho dentro. Ma tu, immagina un po’ cosa io penso. Che in mezzo a miliardi e miliardi di mondi e di pianeti vivi, tu sei lì a guardare proprio me, e, anzi, dentro di me. Quando parlo con Te, Padre, non è che posso pensare d’imbrogliarti. Tu conosci i miei pensieri e anche quel che c’è prima dei pensieri. E non sono un peccatore, perché so di poter chiedere perdono; ma solo perché sono io. Sono troppo innamorato e troppo imperfetto, da confondere Cielo e Terra, e mancare in tantissime cose. E mi vergogno anche, a chiedere d’essere perdonato, e davvero non lo so, se io lo meriti.

Come noi li rimettiamo ai nostri debitori.

Ci sono persone, Dio, che mi hanno fatto male, e ci sono persone che mi fanno male, anche ora, mentre scrivo. In realtà, non ho mai osato pensare che commettessero peccato verso di me. Francamente, anche quando mi hanno fatto davvero male, e ci sono persone che, ora, mi stanno davvero facendo a pezzi la vita, io non ho mai pensato, di far loro del male. Certo, ogni tanto qualche pensiero cattivo mi è venuto. Ma l’ho subito mandato via, perché la vendetta, o la punizione, in realtà, non mi hanno mai interessato. Io ho sempre pensato che magari ho fatto io qualcosa di male, per meritare il male che altri mi ha fatto, e mi fa. E ho anche sempre pensato che quando ho ricevuto del male, soprattutto dalle persone cui tenevo, e magari dalle persone cui tenevo di più in assoluto, mio compito, fosse solo quello di non farmi uccidere dal dolore, dalla delusione, dalle ferite ricevute. Io non lo so, se continuerò a riuscirci.

Ma non chiedere a me, Dio, di perdonare.

Se riesco, vorrei lasciar andare. Ma non chiedermi di perdonare. Io non penso d’avere crediti da riscuotere, o che altri siano in debito con me. Penso solo che m’hanno fatto davvero male, e non sanno neanche quanto, e io vorrei solo dimenticarli, sapendo che non ci riuscirò mai.

E non abbandonarci alla tentazione.

Il serpente, è anche l’angelo che caccia via dall’Eden, nella Cappella Sistina. Un tempo, il testo della preghiera era diverso, e io non lo capivo. Perchè Dio dovrebbe “indurci in tentazione” ? Era una domanda che restava sospesa, da qualche parte, e cui era difficile dare una risposta. Magari, Dio ci metteva alla prova, e noi lo pregavamo di non farlo, perché sapevamo, sappiamo, d’essere deboli, di non saper resistere. Ma, allora, tutto il nostro volerti bene, Dio, si riduceva a scansare le occasioni pericolose ? Mettiamo la maglia di lana; non rientriamo tardi la sera; frequentiamo buona gente; non guardiamo troppo in giro; facciamoci i fatti nostri; non leggiamo cose che fanno pensare. Poi, arriva un testo nuovo, ti chiede, Dio, di non abbandonarci, alla tentazione. Ma ci sono un sacco di tentazioni, Dio, cui è bellissimo, abbandonarsi. Altre cose, quelle brutte, brutte davvero, a me non sembrano tentazioni, ma cose indicibili, inavvicinabili. Penso che se avessimo bisogno di Te, Dio, per scansarci da quelle, saremmo messi male davvero, e forse avremmo bisogno di un castigo bello pesante. Magari eterno. Ma, su questo, Tu sei Giudice. E io penso che, se mi vedi che sto mettendo le dita nel barattolo di marmellata, di nascosto, lo sai che, in realtà, magari faccio male solo a me stesso, e tu aspetterai il mio tempo, per acchiapparmi e darmi la punizione che merito. Che non sarà eterna, questo – guarda la mia presunzione – lo so.

Ma liberaci dal male.

Ci sono due specie di male, Dio, dal quale ti chiedo di liberare me, e il resto dell’umano che gira su questa Terra. Liberami, Dio, dal male che può colpire le persone che amo. Di me, francamente, mi frega poco. Del male che ho subito, e di quello che subirò, io so che mi spetta, che non posso evitarlo. Ma non farmi vivere il male delle persone che amo. Loro, lasciale libere dal male. E, se serve, per un qualche equilibrio cosmico, dai a me, il loro, di male. Penso d’essere stato chiaro. E poi, libera la Terra da questo morbo schifoso che è la guerra. Prendi tutti i guerrafondai, i venditori di armi, i generali e le generalesse che vogliono uccidere, e tutti quelli che desiderano aumentare il loro potere con la violenza, e trasferiscili su un pianeta lontano da questo. Nudi, trasferiscili nudi, in un pianeta popolato da animali affamati. Non per la legge del contrappasso. Ma solo perché conoscano la paura. Una paura totale e senza direzione, che è quella che, ogni giorno, sperimentano gli innocenti, per colpa delle loro sporche guerre.

Ave, o Maria, piena di grazia.

Io, questa preghiera, la immagino come un dialogo. Il dialogo, tra l’Angelo, e la Vergine; quello raccontato dalle parole dorate, che fluttuano nell’aria, dentro il portico, dove si svolge la scena dell’Annunciazione, dipinta dal Beato Angelico e custodita a Cortona.

L’Angelo si presenta, e saluta Maria, che è piena di grazia. E la grazia, è quella divina, ma, è anche la sua bellezza di donna terrena.

Il Signore è con te.

Mi par di sentire la Vergine, col capo leggermente piegato, che risponde: “ E con il tuo spirito “, anche se, nella preghiera non c’è, e l’Angelo del Beato Angelico, in realtà, la avvisa che “lo Spirito Santo scenderà su di lei”, e si vede, infatti, una colomba restar ferma in volo sulla sua testa. Questa cosa dell’Immacolata Concezione ( poi, l’Angelo dice che “la potenza dell’Altissimo la coprirà con la sua ombra” ), è una cosa, cui credere, e basta, se ci si voglia credere. Giove, era solito accoppiarsi con donne umane; usando stratagemmi, o violenza, purtroppo, anche. L’Angelo viene ad annunciare qualcosa che si colloca fuori dalla storia, e oltre il tempo storico. Maria, risponde che vorrebbe esser lasciata essere la serva del Signore, secondo la Parola che ha appena ascoltato. Il Signore è con Maria, ma tutto è disincarnato. Quello che avviene, in primo luogo, cancella la carnalità di Maria; la rende puro Spirito, che vivifica in sé, lo Spirito Santo.

A me fa un po’ paura, questo Signore che scende dall’alto, e sceglie, e solo servi si possa essere al suo cospetto. Una volontà che si cancella, o che si piega; quand’anche aderisca con gioia alla richiesta che le viene fatta. Io non so giudicare, e non so se sia vero, quel che temo. Guardo, un dipinto, e vedo avvenire un miracolo. Ma vedo anche scomparire una donna.

Tu sei benedetta fra le donne.

Il Beato Angelico riempie di luce, e d’oro, lo spazio che Maria occupa. E la isola: nessuna altra donna è con lei. Solo Eva, in un canto del dipinto, appena cacciata con Adamo dal Paradiso Terrestre, le fa da controcanto. Perchè Maria sana le ferite del peccato trascorso; o meglio, Maria è lo strumento, attraverso cui il Verbo potrà incarnarsi e perdonare quel peccato. Ancella. Maria si sente, ed è ancella di una volontà potente, e più grande. La benedetta tra le donne deve rinunciare alla propria umanità, eppure, è celeste, e d’incorruttibile oro.

E benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù.

Io, qui, immagino l’Angelo, che stia pronunciando questa frase, immagino Maria, che, all’unisono con l’Angelo, pronunci il nome di Gesù, con un grido felice, di madre che ha scelto il nome di suo figlio, e, in quel nome, ne riverbera già la divinità. Un tempo, erano diffuse le raffigurazioni di Maria che allattava Gesù, col seno nudo. E il nome di Maddalena, è anche Maria.

Forse è per questo, che la Chiesa conciliare ne abolisce la rappresentazione. Maria dev’essere disincarnata. Il suo seno, può suscitare desiderio indicibile e va nascosto. La carne di Maddalena, non può macchiare la sacralità di Maria. Eppure, il corpo della donna a me sembra il più dolce ricettacolo di luce esistente; con la sua forma convessa, morbida, accogliente. Il frutto del suo seno. A me sembra una frase, sensualissima e dolce. Ma è il frutto del suo ventre, che ci salverà dal peccato. Nonostante noi.

Santa Maria, Madre di Dio.

Una canzone che amo, recita: “Madre di Dio e dei suoi figli, Madre dei padri, e delle madri, madre oh madre, oh madre mia, l’anima mia, si volge a te”. E questa donna, diventa la Madre di Dio. E la Madre, di ognuno di noi. E’ qualcosa che regala vertigini, questo femminile che dà la vita. Queste parole di liquido amniotico che sta per diventare luce. A queste parole, si possono chiudere gli occhi, e regalare tutta la fiducia che abbiamo.

Prega per noi peccatori, adesso, e nell’ora della nostra morte.

Non so pensare, all’ora della mia morte. Vicina, forse.

Al Louvre, nel Corridoio degli Italiani, è il quadro della “Morte della Vergine”, di Caravaggio. Non credo d’aver mai visto nulla di così potente, e di così umano, nel raffigurare la morte. Questa donna, vestita di rosso, abbandonata su un tavolo. E’ Maria, giovane Vergine; e forse è Maddalena, una prostituta annegata nel Tevere che al Merisi, forse, fece da modella, e che gli costò l’entrare in disgrazia, e il rifiuto del suo quadro. Eppure quella Maria è umanissima. Tra le braccia della sua morte, ci si può affidare, da peccatori, per essere portati verso la salvezza. Ha i piedi nudi, e terrosi, di madre che ha percorso il dolore, e il volto dolcissimo, di donna che abbia dato amore. A lei, si volge, l’anima mia, come ad una madre.

Angelo di Dio, che sei il mio custode.

Nel presepe che si faceva a casa mia, da bambino, c’era questo angelo, dai lunghi capelli biondi, coperto da una lunga veste bianca, con le ali spiegate e, tra le mani, un drappo, su cui non ricordo cosa fosse scritto: aveva una particolarità; quella di non poter stare in piedi. Sulla sua schiena, era stato posto un piccolo anello di plastica, attraverso il quale far passare un fil di ferro, che serviva a fermarlo sulla cima della capanna in cui trovava rifugio la Sacra Famiglia. Era lì per mostrare il luogo miracoloso, e anche per proteggere. Quando la sera, prima di dormire, pregavo in ginocchio ai piedi del letto, immaginavo questa creatura, alle mie spalle. A proteggermi da tutte le ferite che mi facevo, e che erano riparate coi punti di sutura e l’ospedale.

Illumina, custodisci, reggi e governa me.

Io sono un piccolo uomo che vaga per Parigi, oppresso dai debiti, e in pericolo, perché chi mi ha prestato i soldi, li rivuole indietro, e non con le buone maniere. Finalmente, decido di suicidarmi, e mettere fine alla mia inutile vita. Ma, sullo stesso ponte che ho scelto io, per buttarmi nella Senna, una bellissima donna, dai corti capelli biondi, sta per gettarsi in acqua. Mi getto io, anche, allora, ma per salvarla. E quando sono riuscito a salvarla, è lei, che si mette in testa di riportare la mia vita su binari possibili. Fa di tutto, per me. E, ad un certo punto, mentre siamo in un bagno pubblico, mi spiega che non posso vivere, senza amare. Mi chiede se io la ami. E io non ho mai detto, davvero, ad una donna di amarla. Eppure, guardandola, non posso far altro che permettere al mio cuore di pronunciare le lacrime che sento uscire dagli occhi, con la voce strozzata dalla gratitudine di chi, per una volta nella vita, ha incontrato ogni suo desiderio, ed ogni suo sogno, insieme. E io dico a lei, che l’amo, mentre lei si rende invisibile e io sto dicendo ad uno specchio, che riflette la mia immagine, che io amo me stesso. Ma io, non amo me stesso. Io amo lei che mi rende me. Lei che mi ha fatto essere. E’ lei, il mio angelo. La mia Angel-a.

Che ti fui affidato dalla Pietà celeste.

Io ti fui affidato, angelo. E se la pietà celeste ti richiama, e se tu vuoi andar via da me, io provo in ogni modo a trattenerti. Io ti sto chiedendo di rinunciare all’eternità, per me, per me che sono niente. L’angelo si dibatte. Le sue ali sollevano lei, e me, da terra.

Eppure, alfine, lei non mi lascia. Questo Angelo Custode, io prego. Quello di un film. Quello dal quale la mia vita stessa, dipende.

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