Secondo Wikipedia, la Cultura oggi, è identificata con un sistema di saperi, opinioni, credenze, valori, norme, costumi, comportamenti, tecnologie e processi tecnici propri di un particolare gruppo umano; è identificata, la Cultura, anche con una eredità storica, capace di definire i rapporti all’interno di quel gruppo umano, e di quel gruppo umano con altri gruppi umani, e con la natura.
Aquila, ha appena concluso una estate di manifestazioni, eventi, concerti, spettacoli di vario genere. Un cartellone denso, sulla cui qualità non desidero ragionare: mi interessa molto di più, provare a mettere a confronto la città, con l’idea di Cultura che si può scorgere dietro il modo in cui le risorse ingenti disponibili, sono state impiegate per questo calendario; dietro i criteri che hanno valutato le scelte compiute. Capirne le relazioni con Aquila, e il dialogo, se vi sia stato.
E’ indubbio, che l’intera gamma dell’offerta estiva di intrattenimento, e cultura, e manifestazioni, sia resa possibile da assai consistenti risorse disponibili al Comune di Aquila, grazie all’apertura, avvenuta con altri governi, di canali di finanziamento specifici, da parte dello Stato italiano, che trasferisce denaro sulla nostra municipalità, in nome dell’esigenza di offrire possibilità di ricostruzione immateriale, ad una comunità gravemente colpita da un sisma distruttivo, i cui effetti, oltre che nelle coscienze di ciascuno, sono ancora oggi ben visibili; fisicamente visibili.
La stragrande maggioranza dei Comuni italiani, non ha alcun accesso a quantità paragonabili di risorse, talvolta persino in termini assoluti, senza neppure bisogno di confrontarne la consistenza correlando le cifre proporzionalmente al numero degli abitanti.
La prima questione che credo vada posta, perciò, riguarda “come”, in futuro, poter finanziare nuovi calendari di incontro, magari persino più importanti, di quelli che abbiamo appena vissuto.
E’ immaginabile che, nel tempo ( quanto breve lo decideranno i vincoli di finanza pubblica ), la quantità di risorse disponibili, tenderà a decrescere.
Quali risorse locali potranno essere utilizzate per sostituire le risorse statali oggi disponibili ?
Il nostro Comune, dal 2009, riceve risorse aggiuntive, di carattere generale, per far fronte alle conseguenze del sisma, e con quelle risorse, costantemente, costruisce i propri Bilanci. Da anni, le spese ordinarie, sono spesso possibili solo grazie a risorse di natura straordinaria.
Questo specifico aspetto, non sembra preoccupare la classe dirigente cittadina, e certo non la Giunta che amministra la Città. E’ difficile, per tutti, spiegare, che le risorse straordinarie diminuiranno, e che, anche per questo, sarà necessario ristrutturare l’intera spesa disponibile al Comune di Aquila.
Ma questa evenienza, magari raggiungerà il suo punto di rottura tra dieci anni, oltre cioè, ogni orizzonte elettorale oggi interessante.
E quindi, siccome potenzialmente impopolare, l’ interrogativo, rispetto a questo, temo, realistico quadro dei prossimi tempi, semplicemente, viene ignorato.
L’assenza di discussione pubblica su questo scenario, e l’assenza di interventi di carattere generale, che già oggi prefigurino una transizione e nuovi equilibri di Bilancio, saranno pagate dai cittadini, e tra essi, più di tutti dai giovani, e dagli adolescenti di oggi, che diventeranno adulti, in una possibile situazione di drammatica carenza delle risorse necessarie; una penuria aggravata magari anche dai riflessi dei recenti provvedimenti governativi in tema di cosiddetta “Autonomia differenziata”.
Il quadro del possibile futuro, e l’assenza di dibattito pubblico sul tema, connotano una specifica “cultura”, nel governo della cosa pubblica.
E’ una “cultura”, che scarica sugli altri, la responsabilità di porre rimedio ad errori, sottovalutazioni, scelte sbagliate, o dettate da precisi interessi a tutela di precisi poteri. E’ una “cultura” che concepisce la propria funzione pubblica, solo come mediazione in favore di gruppi ed interessi vicini ed alleati. Per questa “cultura” il solo esercizio del potere pubblico, utilizzando risorse pubbliche, del cui uso corretto non si risponde, legittimerebbe, di per sé, ogni scelta praticata; come se l’interesse pubblico, altro non fosse, che la somma dei soli interessi privati cui si è scelto di dar gambe e voce. Per questa “cultura”, è indifferente se le risorse usate incrementino il Debito Pubblico che rischia d’essere incontrollabile e il cui peso è, ancora una volta, sulle spalle dei più giovani.
E’ esattamente per evitare qualunque discussione sul futuro, che questa “cultura”, è tutta schiacciata sul presente, e sull’apparire e sul fatturato; e solo sul presente, costruisce ogni propria comunicazione.
Non è un caso, che il successo di una manifestazione, o di un evento, si misuri, in termini comunicativi, solo su presunti dati quantitativi di partecipazione, e/o di crescita presunta del volume di affari di attività commerciali di vario tipo.
Ma, negli esercizi pubblici, quasi mai si propone cultura; bensì, vi si accede solo per consumare un bene o un servizio: e l’unico successo percepito che può avere un evento di carattere culturale, in senso largo, quindi, è l’aumento che può avvenire, intorno all’evento, delle vendite di beni o servizi.
Un evento, o una manifestazione, o un qualsiasi spettacolo, nella pubblica considerazione ( stampa, social, televisione, etc. ), classifica la propria rilevanza in base alla sola partecipazione “da spettatori” delle persone, che sono chiamate quindi, salvo meritevoli eccezioni, ad avere un rapporto di puro “consumo” con la Cultura.
Che è l’unico rapporto concepibile, quando in realtà si pensi che, “con la cultura non si mangia”, secondo le immortali parole di un cosiddetto Ministro dell’Economia, facente parte di alcuni governi nazionali di centrodestra degli ultimi decenni.
Dal mio osservatorio di cittadino, cerco di comprendere se la città, risponda, proprio in termini quantitativi, agli inviti che le vengono fatti, di partecipare a questa ricca possibilità di intrattenimento e magari anche riflessione.
La città partecipa: talvolta anche con numeri importanti che connotano il consenso, o l’interesse, comunque, verso quella forma di intrattenimento, o di spettacolo, o di manifestazione.
Vi è poi dibattito, circa la possibilità che il ricco calendario estivo aquilano, sia, un fattore attrattivo di Turismo. Dibattito certo importante, ma rispetto al quale, è davvero difficile che le diverse voci concordino su credibili riscontri numerici e serie storiche omogenee: i numeri studiati da Enti e Associazioni che di questo specificamente si occupano, sono spesso in larga parte sconosciuti.
E’ utile rimarcare che anche questo specifico aspetto di “ricaduta”, del cartellone culturale dell’estate aquilana, nella comunicazione e nella considerazione, ha una piegatura ancora una volta, tutta quantitativa e utilitaristica.
La “cultura” di governo che mette insieme la sequenza delle manifestazioni aquilane, e degli eventi in esse contenuti, sembra essere del tutto subordinata ad esigenze di carattere economico, e di distribuzione dei benefici del potere; nonostante questo, o magari proprio in forza di questo suo carattere, gli aquilani, in larga parte, sembrano interessati al consumo delle proposte offerte ( ma non v’è prova che non possano essere interessati anche ad altro ); sono incerte le ricadute in termini quantitativi, degli ingressi in città, dall’esterno, motivati dal cartellone che viene offerto.
Nella sostanza, è come se qualcuno ci proponesse di stare davanti al televisore, e scegliere, tra le varie offerte di un canale o di una piattaforma, uno spettacolo, o un evento; l’unica differenza consiste nel fatto che dovremmo cercare un parcheggio in centro città, per guardarlo, senza poter restare sul divano.
Io qui, non metto in questione il fatto che, per ciascuno degli appuntamenti previsti dal cartellone aquilano, gli artisti chiamati ad esibirsi abbiano dato il meglio delle loro capacità; né metto in questione la possibilità che, per ciascuno degli appuntamenti previsti, chi sia stato presente, abbia vissuto una intensa e importante esperienza sul piano emozionale, e, magari anche intellettivo.
Può essere accaduto, oppure no; io desidero mettere in luce che la specifica “forma” che ha assunto il calendario di eventi e spettacoli estivi in città, è quella di una rassegna omnicomprensiva molto costosa, tendenzialmente passivizzante; che non sceglie una sua specifica e caratterizzante identità e non la mette in relazione biunivoca con la città.
Quando l’estate sarà trascorsa, e tutte le strutture fisiche che hanno materialmente consentito le esibizioni, saranno smontate, di tutto quanto è avvenuto, resta memoria, forse, quasi solo in chi abbia fisicamente preso parte all’evento ( e magari lo abbia fotografato o ripreso e condiviso sulle piattaforme social ). Non sembra restare alla città un lascito che consenta di fare esperienze diverse, magari anche formative, sul territorio, e che potrebbero produrre nuove iniziative di carattere culturale e artistico, o anche nuove professionalità, o nuove imprenditorialità, legate al mondo dello spettacolo, e alle esigenze, anche tecniche, di ogni evento.
Esistono iniziative private sul piano locale, anche piccole, sebbene importanti, che vanno in questa direzione; ma hanno minimi legami col sistema più complessivo che si muove dietro il calendario che abbiamo vissuto e spesso anzi ne soffrono economicamente, la lontananza.
Forse, occorrerebbe scegliere delle priorità e specifiche caratterizzazioni cui la città voglia legarsi; non sempre e non necessariamente legate ad un passato più o meno reale, o rivisitato, ma magari legate ad una idea di Futuro, e auspicabilmente comunque, non “ad usum Delphinii”: a beneficio cioè, del solo potere economico, e del potere politico ad esso collegato.
Questo vorrebbe dire aprire un franco, aperto, e libero confronto pubblico “sull’identità” della città, e anche “sui poteri” interni alla città che quella identità in parte importante determinano. Occorrerebbe sanare, ad esempio, la contraddizione esistente tra una città che si richiami a valori espressi dalla “Perdonanza”, e la scelta praticata dalla pubblica amministrazione, di non concedere strutture pubbliche, ad appuntamenti con Roberto Saviano, e Zerocalcare.
Forse, occorrerebbe privilegiare e puntare, in ogni direzione della cultura, dello spettacolo, e dell’intrattenimento, su offerte ed esperienze, capaci potenzialmente, di fecondare la città sotto diversi riguardi, e di consentire anche autonome ed indipendenti esperienze, in ogni ambito artistico, di spettacolo e culturale.
Forse occorrerebbe immaginare, sul piano finanziario, qualcosa che si autoalimenti, sostanzialmente, e che sia capace, nel contempo, di aprire alla città, i tanti edifici pubblici incompiuti che abbiamo nel nostro territorio comunale e nelle frazioni, che potrebbero costituire l’infrastruttura fondamentale, per consentire sostenibilità finanziaria, e anche destagionalizzazione e decentramento degli eventi, magari sempre tra loro collegati da tematiche e ricerche comuni, caratterizzanti il territorio e la città.
Forse si potrebbero maggiormente coinvolgere in fase di ideazione, le istituzioni pubbliche della Cultura nel territorio, e anche le realtà private esistenti nel Settore.
Nell’estate del 2009, a pochissimi mesi dal sisma, in vari luoghi della città, si esibì il fior fiore dello spettacolo, dell’intrattenimento, e della cultura nazionale; per solidarietà, in primo luogo, certo, ma anche, oggettivamente, con una funzione comunicativa molto forte, e passivizzante: in quegli eventi organizzati dalla Protezione Civile si voleva trasmettere un messaggio implicito di tranquillizzazione, secondo cui, ci si stava occupando della città, e nel modo giusto. Agli spettacoli più importanti, il capo della Protezione Civile, veniva presentato al pubblico, tra gli applausi, e in lui veniva indicato il meritevole soggetto che, titanicamente, da solo, consentiva tutto il dispiegamento di artisti che ha ritenuto di portare la propria voce in città, in quel periodo molto difficile.
Questo schema – il principe che elargisce munificamente spettacolo – si è riprodotto, via via ingigantendosi, sempre più negli anni, ma senza riuscire a dare alla città un comune sistema di valori identificativi.
E questo, sul piano della riconoscibilità di un territorio, temo valga anche per la Perdonanza.
La nostra città, probabilmente è conosciuta a Milano, più per il terremoto e per il Gran Sasso col suo Parco, che non per la Perdonanza ( che meriterebbe un discorso a parte ) o per i Cantieri dell’Immaginario. Nonostante gli sforzi compiuti per il riconoscimento della Perdonanza, entro il Patrimonio Immateriale promosso e tutelato dall’UNESCO.
Il dispiegarsi di artisti di rilievo nazionale, e talora internazionale, che Aquila ha ospitato negli ultimi anni, non ha contribuito a costruire una eredità storica per la nostra comunità: nonostante l’altezza delle forme artistiche talora proposte, non ha contribuito, se non in troppo piccola parte, a fecondare il nostro territorio di nuove idee, esperienze e proposte, e non ha sedimentato un lascito artistico e di riconoscibilità.
In verità, non vi sarebbe alcuna necessità, in fondo, di caratterizzare l’offerta di cultura, intrattenimento, spettacolo ed eventi. Si può scegliere, tranquillamente, di proseguire lungo la strada da lunghissimo tempo intrapresa.
Magari, si può tranquillamente accettare l’idea che sia possibile, e giusto, solo quel che viene effettivamente realizzato e offerto.
Si può decidere, legittimamente, di non avere una propria identità culturale definita, e di non promuovere nulla per farla conoscere e arricchirla.
Ulisse, con un palo infuocato, acceca Polifemo, non solo perché ha brutalmente ucciso alcuni suoi compagni cibandosene, ma anche perché egli, col suo comportamento riprovevole, ha offeso le sacre leggi dell’ospitalità. Lo straniero, di qualunque nazionalità sia, va accolto, conosciuto e onorato. Così insegna l’Odissea, uno dei libri che sono alla base dell’intera “cultura occidentale”.
Tutti noi potremmo provare a comprendere che la nostra identità culturale, e quindi eventualmente anche ogni iniziativa artistica, di spettacolo, e ogni evento, che ad essa faccia riferimento, è in realtà soggetta al continuo mutamento determinato dai nostri incontri e dalle vicende che si susseguono nel tempo; allora, forse, occorrerebbe, avere a riferimento una identità capace di incontrarsi e dialogare con gli altri e col mutamento, e magari di determinarlo.
Una identità che, in nome di uno dei tanti passati che sarebbe possibile scegliere, definisce sé stessa, solo come un mercato di consumo, peraltro contenente pesanti elementi di distorsione, può solo fare i conti, quando il sipario si chiude: vedere quanto ha guadagnato, o quanto ha perso; e questo è certamente un importante elemento di cui occorre tener conto, ma se definisse da solo, la nostra identità culturale, significherebbe che essa è e sarà soggetta alle fluttuazioni di mercato: certe volte, può avere un valore altissimo; altre può essere un fallimento.
E il fallimento, annulla, in gran parte, una identità.