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Rapporti di lavoro, rapporti di potere nella Società.

Set 30, 2024 | Istantanee

Ha ventiquattro anni, e una laurea, conseguita a Roma, in una prestigiosa Accademia universitaria, in grafica, progettazione e realizzazione siti internet.

Dopo le prime esperienze di lavoro a diciannove anni, in un bar e poi in una struttura turistica, viene assunta come apprendista part time in una azienda che lavora proprio entro il suo campo di studi.

L’apprendistato, però, come troppo spesso accade, non finisce con una assunzione stabile, ma con il licenziamento, dimostrando, per l’ennesima volta come, questa tipologia contrattuale sia utilizzata, nella quasi totalità dei casi, solo perché è uno strumento utile ad abbassare il salario, e a rendere la persona, quanto più possibile subordinata alle ragioni d’impresa, assecondando le quali, si coltiva la speranza di un rinnovo contrattuale che, puntualmente, non arriva.

Raccontare Aquila, e, con essa, gran parte d’Italia in fondo, richiederebbe un convinto sforzo per provare ad entrare davvero dentro i suoi rapporti di potere, a partire da quelli nei luoghi di lavoro ( per i quali in verità non si pensa quasi mai, in termini di rapporti di potere, tra datore di lavoro e lavoratore ), che, già da soli, potrebbero grandemente contribuire a spiegare tante dinamiche di carattere generale.

Mi riferisco anche alla scissione, del tutto evidente da tempo ormai, tra tutto quanto investe il concreto vivere delle persone ( lavoro/disoccupazione; tasse; salute; servizi; scuola/università etc. ), e la rappresentazione concreta che della vita viene invece fornita su quasi ogni media, social compresi; quasi tutta centrata su elementi di evasione, e di evasione dalle responsabilità.

Questa rappresentazione falsata assurge al livello di unica rappresentazione possibile, mentre tutto il concreto vivere umano, resta sullo sfondo ed è vissuto come “dato naturale e immodificabile”; fatto però, in realtà, di nascondimenti, ipocrisie, vergogna soggettiva, impoverimento progressivo, sopraffazioni e esclusioni che finisce con lo scomparire dalle concrete percezioni, subordinato come è, a questa forma specifica di racconto fuorviante che presuppone e celebra una competizione mirata solo al successo, e all’emersione, in qualche modo, dalla massa.

Cova, in verità, un risentimento sordo, il cui rumore sta aumentando in varie forme d’intensità, ed in varie direzioni, sotto la rappresentazione di una realtà fatta solo di grandi eventi sportivi, o serie televisive, vacanze e selfies, ristoranti e feste ( che oscurano, con la loro popolarità il contesto di guerre e cambiamento climatico ); dalla quale risaltano solo emergenze ( di cronaca nera, spesso ), sulle quali volta per volta ci si divida, come allo stadio, pretendendo di affrontare la complessità con la semplicizzazione delle questioni, e con ingannevoli soluzioni, fatte solo di frasi ad effetto.

Una parte sempre più consistente della Società, trae dalla realtà molti più motivi di paura, che non di positività. E sempre più s’accorge d’essere esclusa dalla possibilità, anche solo di raggiungere i livelli di benessere delle generazioni precedenti.

I rapporti di potere, dentro il mondo del lavoro, che sono alla base dei rapporti di potere nella Società, segnalano una preminenza quasi assoluta delle ragioni brute d’impresa, su quelle del lavoro umano.

Il concreto manifestarsi di questo strapotere, che arriva fin nell’intimo della vita delle persone, ha molteplici forme; ma un buon modo per coglierne la vera essenza, consiste nell’analizzare gli strumenti, con cui questo strapotere viene esercitato. I mezzi, spesso, consentono di comprendere anche la natura profonda dei fini.

Uno dei modi con cui si umilia il lavoro umano, consiste nell’applicare, da parte di una impresa, un Contratto Nazionale di Lavoro non sottoscritto da Organizzazioni Sindacali Confederali, nè da Associazioni riconosciute dei Datori di Lavoro. Esiste una quantità incredibile di contratti, il cui unico scopo, al di là delle chiacchiere con cui vengono ammantate le concrete scelte compiute, è, da una parte, quello di abbassare il costo del lavoro, attraverso vari strumenti; dall’altra, quello di asservire il lavoratore, o la lavoratrice, completamente e senza possibilità di alternativa, alle ragioni d’impresa; alla sua esigenza di flessibilità; agli orari di lavoro, ordinari e straordinari, che solo il datore decide; alle modalità concrete di organizzazione del lavoro decise dall’impresa.

Questi contratti, sottoscritti da Organizzazioni Sindacali e Datoriali spesso prive di reale rappresentatività, consentono inoltre, di aggravare ulteriormente le condizioni salariali e di lavoro, già peggiori di quelle dei Contratti Nazionali di Lavoro, perché prevedono, al loro interno, formulazioni che consentono di applicare condizioni salariali ancora più basse e normative più penalizzanti , per esempio per le donne, o i neoassunti, o per certe aree del paese che possano essere definite “svantaggiate”.

La scelta, di queste forme contrattuali, ha un obiettivo pratico: pagare meno possibile le persone, che però devono svolgere una prestazione di lavoro magari addirittura più pesante e difficile di altri lavoratori o lavoratrici, e disporre del loro tempo, e del loro lavoro, di fatto, senza vincolo alcuno, e senza nessuna visibilità sul futuro.

Ecco allora, che la donna di ventiquattro anni, mentre progetta e realizza siti internet, si vede applicare un contratto del Commercio, sottoscritto da organizzazioni sindacali e datoriali, la cui rappresentatività, è tutta da dimostrare. Con un espediente illegittimo l’azienda impone il proprio potere, non discutibile, e determina le scelte, e le condizioni di vita di una persona.

Perchè, per una persona, se non è possibile prima, accogliere l’offerta di un tirocinio formativo ( che non è neppure un rapporto di lavoro ), per uno stage presso una grande azienda di moda italiana, a Roma, a seicento euro al mese, poi, con un contratto finto di apprendista ad Aquila, certo non può permettersi di vivere da sola, pagarsi un affitto, bollette, sanità, vestiti, cibo, a meno di non accettare di vivere da “studentessa”, con altri coinquilini.

Il mezzo utilizzato da alcune imprese, per distorcere la concorrenza tra l’altro e penalizzare imprese concorrenti corrette, svela il fine ultimo di una parte importante della società italiana, che è quello di abbattere ogni sistema di tutele collettive, e, di conseguenza, impedire che possa esistere una rappresentanza collettiva delle persone, che devono restare sole, di fronte al potere dell’impresa, e, di riflesso, anche di fronte al potere politico che, in certe condizioni, può anche farsi potere dello Stato.

In ultima analisi, per questa via, passa un attacco alla Democrazia e alla Costituzione della Repubblica Italiana, perché si vuole ridurre ad una condizione di minorità e di impossibilità a partecipare alla vita politica del Paese, una larghissima maggioranza di persone.

Non dovrebbe essere consentito, a nessun livello, di girare gli occhi dall’altra parte, e far finta che sia “solo” un problema di sfruttamento sul lavoro.

E’ esattamente questa la radice, del peggioramento materiale, negli ultimi trenta e più anni, delle condizioni di vita di fasce larghissime della popolazione italiana.

Il lavoro, divenuto povero, precario e ricattabile, produce una società profondamente diseguale, che proprio per questo ha bloccato ogni sua possibilità di sviluppo, ma consente a pochi di arricchirsi, e, a tanti, di accrescere un proprio smisurato e ingiustificabile potere.

Produce una società rancorosa, in cerca di nemici vicini, e di capri espiatori, e che appare incapace di trovare in sé le energie e il rigore morale necessari a risollevarsi.

La responsabilità di dare risposte vere ai problemi, è costantemente scansata, quando, di fronte a problemi reali che richiederebbero grandi capacità di governo e di raccordo con gli altri Paesi del mondo, perché possa arrivarsi a soluzioni giuste ed eque, si sceglie invece solo di indicare colpevoli fittizi, che spesso, sono proprio le prime vittime di quei problemi.

La lavoratrice spiega che, senza il supporto della propria famiglia, lei non avrebbe potuto permettersi di studiare fuori città, ma sente anche la responsabilità di non poter chiedere ulteriori sforzi che le consentano magari, senza l’assillo della sopravvivenza, di proseguire la propria formazione e le proprie esperienze, nei luoghi, non ad Aquila, dove il sapere che ha acquisito possa incontrare reali esigenze aziendali e di mercato. Spiega cioè, che sono ancora le residue risorse accumulate in una stagione precedente – che vedeva allargarsi le possibilità dello Stato Sociale, e permetteva di immaginare possibile, ad esempio attraverso il personale impegno nello studio, il miglioramento della propria condizione sociale ed economica – che consentono alla generazione presente di sopravvivere, senza però poter immaginare alcunchè, del proprio futuro.

Men che meno, costruire una propria famiglia.

E il potere astratto, che regola la relazione tra datore di lavoro e la giovane lavoratrice, diviene immediatamente concreto e tangibile, quando, date le condizioni del nostro territorio aquilano, dove per le sue competenze professionali importanti e specifiche il mercato è estremamente ristretto – ed è impensabile potersi mantenere da sola in altre città – lei si vede costretta a riprendere gli studi, per acquisire il titolo necessario a concorrere alle possibilità lavorative nell’insegnamento.

La persona deve, perciò, a causa di rapporti di potere totalmente squilibrati, e che paiono tanto lontani ed astratti da essere percepiti come “normali e naturali”, modificare profondamente le proprie aspettative di autorealizzazione, anche quando si sia compiuto un percorso di studi d’eccellenza.

Ed è qui, che dovrebbe inserirsi la politica, costruendo le condizioni affinché tutta la società sia stimolata a chiedere a sé stessa qualcosa di meglio. Una misura concreta, dice la Lavoratrice, potrebbe essere l’istituzione di un Salario Minimo.

Si dovrebbe avere molta delicatezza nel costruire uno strumento simile, nel nostro Paese, ma è indubbio, che se le persone potessero contare su una base dignitosa di sopravvivenza – per ogni lavoro che possano incontrare, al di sopra della quale la contrattazione collettiva, realizzata da soggetti la cui reale rappresentatività possa essere rigorosamente misurata anche attraverso lo strumento legislativo di una legge sulla Rappresentanza Sindacale ( che la nostra Costituzione ci chiede da 76 anni ), costruisca salario e diritti per una società che voglia crescere – di certo, potendo guardare al futuro con fiducia maggiore, innescherebbero positivi riflessi economici per l’intero corpo sociale.

La strada che percorriamo da oltre trenta anni, è esattamente opposta; ma tanti continuano a spiegare, che continuando a comprimere le condizioni materiali delle persone, e la loro libertà, un giorno, arriveremo ad una condizione felice, che è in realtà uno sguaiato e pericoloso miraggio, che, nel frattempo, però, rovina la vita di milioni di persone, e di giovani in particolare.

Le persone che vivono le condizioni della giovane lavoratrice, sentono in sé, persino un oscuro senso di colpa. Come se non fossero state capaci di adeguarsi ad una vita fatta solo di competizione per la sopravvivenza.

La competizione per la sopravvivenza, è il mondo da cui Homo Sapiens si è sollevato decine di migliaia di anni fa; quelli che si spacciano per modernizzatori, e per portatori di un futuro dorato, in realtà, vogliono solo ristabilire il principio base della legge della jungla.

Solo il forte, ha diritto di sopravvivere.

Non siamo distantissimi da passate e orrende ideologie che hanno provocato milioni e milioni di morti e guerre distruttive.

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