logo-studio-medico-multispecialistico-lasermillennium-dr-franco-muzi
logo-studio-medico-multispecialistico-lasermillennium-dr-franco-muzi

Istantanee

Home / Rubriche / Istantanee

La fine della dimensione sociale in Italia.

Giu 12, 2025 | 2025, Istantanee

Nel 1985, si tenne un Referendum in Italia, partecipato dal 77% degli aventi diritto, che decise di confermare i provvedimenti del  “Governo Craxi”, con i quali venivano tagliati tre punti, della cosiddetta “Indennità di contingenza”, riducendo la copertura del Salario, e delle Pensioni, rispetto all’inflazione.

Un provvedimento che interveniva materialmente e direttamente sulle condizioni di vita di molti italiani e di molte italiane, tagliando le buste paga delle persone e diminuendo il loro salario, o la loro pensione.

Ma, cinque anni prima, una marcia di impiegate e impiegati della FIAT, aveva sconfitto le Organizzazioni Sindacali di Categoria, impegnate in uno sciopero a oltranza, contro le decisioni dell’Azienda che prevedevano pesantissimi tagli occupazionali. Contribuendo a costruire così, un clima sociale che divenne la premessa dell’esito di quel Referendum.

Credo valga la pena riflettere su un ciclo storico che, oggi, sembra chiudersi; se volessimo considerare quanto è accaduto sui Referendum proposti dalla CGIL, e su quello da altri proposto, riguardante il tempo necessario all’acquisizione eventuale della Cittadinanza italiana ( fermi restando tutti gli altri requisiti richiesti ).

Poco più del 30% del corpo elettorale, ha esercitato il proprio diritto, e, non avendo raggiunto il Quorum previsto dalla legge, l’esito referendario conferma ampiamente la legislazione vigente, sui temi del lavoro e delle modalità di esercizio della richiesta eventuale di Cittadinanza, presentata da una persona straniera in regola con tutti gli altri requisiti previsti.

Credo possa dirsi che, con questo voto, si chiude una Questione Sociale in Italia, così come s’era configurata sin dal Secondo Dopoguerra, e dovrebbe aprirsi ( ma già avrebbe dovuto da tempo, aprirsi ), una vera Questione riguardante il rapporto tra Democrazia e Mercato.

Chi ancora pensi, che sia possibile suddividere i cittadini italiani, sulla base di definizioni legate al loro Status Sociale, o alla loro effettiva condizione economica, e da questi dati di fondo, far discendere un coerente e conseguente discorso politico, dovrebbe prendere atto che gli italiani, e le italiane, in larga parte, non si percepiscono a partire dalla loro condizione materiale e dalla loro collocazione effettiva nella scala sociale.

Occorrerebbe studiare bene, come gli italiani e le italiane percepiscano sé stessi e sé stesse; a partire da quale identificazione di fondo, e se ritengano che da essa possa discendere un discorso politico, e, semmai, quale.

Quattro decenni abbondanti, di priorità data all’Impresa nelle politiche dei governi, di Destra, e anche delle brevi parentesi di Centro Sinistra o cosiddetti “Tecnici”, hanno prodotto l’assuefazione generalizzata che nulla può cambiarsi rispetto ai rapporti di subordinazione e rispetto alla competizione senza regole che il Mercato predilige.

Il potere spetta, per natura, si direbbe, al Datore di Lavoro; la Lavoratrice, o il Lavoratore, possono al massimo considerarsi fortunati, d’avere un rapporto di lavoro purchessia. E nelle grandi aziende, dove è presente il Sindacato, anche con le sue rappresentanze, la maggioranza di Lavoratrici e Lavoratori, non è iscritta al Sindacato, e anche tra le iscritte e gli iscritti al Sindacato, sono numerosi quelli che condividono le ragioni d’impresa, soprattutto nella competizione sul mercato. Operare, perché la propria azienda abbia importanti quote di Mercato, è l’unica strada percepita, ed in parte reale, per difendere il proprio posto di lavoro, pur se questo comporti la perdita del lavoro, per altri Lavoratori o Lavoratrici.

E nelle grandi aziende, anche dove è presente il Sindacato, sono rarissimi i casi di lotte sindacali tese a costruire eguaglianza tra Lavoratrici e Lavoratori che, pur con contratti diversi, operano nello stesso luogo di lavoro; o tese a rendere stabile la quota sempre più larga di precariato che ( con varie tipologie contrattuali ), sembra essere la normale forma dei rapporti di lavoro, soprattutto per le fasce più giovani di popolazione.

Si chiude, una modalità di lettura delle Questioni Sociali italiane: tutto quello che, almeno apparentemente, dal Secondo Dopoguerra, all’inizio degli anni ’80 dello scorso secolo tendeva ad un allargamento del Bene Comune e ad un miglioramento progressivo e collettivo delle condizioni di vita, lascia il passo a considerazioni quasi esclusivamente personali, del cui peso motivazionale non sarebbe sbagliato ragionare, ma il cui effetto politico è chiarissimo; ed è la potenzialmente maggioritaria indifferenza a qualsivoglia questione abbia carattere comune, e non immediatamente individuale, come se questa opposizione non avesse nella singola persona, una radice comune, ma solo una feroce oppositività reciproca.

A questo cambiamento radicale nella percezione, ed autopercezione della propria condizione sociale, possiamo affiancare, in relazione biunivoca, la formazione di un nuovo “senso comune”, favorito da decenni di monopolio privato nell’informazione televisiva ( cui è seguito un assai scarno oligopolio ) e di monopolio governativo nell’informazione televisiva pubblica; da almeno due decenni di pesante declino dell’informazione scritta, sia in termini di diffusione, che di autorevolezza, corrispondenti ai due decenni in cui il sistema dei Social Media, è divenuto pervasivo e sostitutivo delle fonti d’informazione classiche.

Questo nuovo “senso comune”, ha conquistato da tempo una profonda egemonia culturale, e trova fondamento su questioni di gran lunga diverse, dall’essere, o meno un operaio salariato, o un libero professionista dell’alta borghesia.

La questione dei movimenti migratori; la questione della sicurezza ( intesa soprattutto come contrasto alle forme di criminalità violenta, mentre la criminalità economica e organizzata, prospera tra complicità e sottovalutazioni ); la questione di una visione individualistica e mercantile dei diritti, soprattutto sul piano dell’identità sessuale e delle modificazioni del linguaggio ( quando la libera espressione della propria personalità, è divenuta, o è stata percepita, in una certa misura, un catalogo di possibilità tra le quali scegliere ) ; la questione della rassicurazione richiesta allo Stato, come autorità terrena, e alla Religione, come autorità ultraterrena; e nel contempo, la questione dell’ostilità di fondo a qualsiasi cosa abbia a che fare con uno Stato, identificato come un nemico che lucra sull’imposizione di tasse ingiuste.

Si potrebbe dire che il Mercato, quale unico regolatore, attraverso il denaro, di ogni rapporto sociale, che però dev’essere fondato esclusivamente sulla “legge del più forte”, abbia spazzato via ogni possibile diversa prospettiva, conquistandosi, nella percezione delle persone, quasi il ruolo di “stato di natura”, giusto ed immutabile, ed abbia incanalato poi il risentimento per l’allargarsi delle diseguaglianze e delle opportunità, su categorie sociali deboli o devianti, oltre che sulle inutili lungaggini burocratiche della Democrazia, sempre più identificata con il puro atto del voto, anche in condizioni sempre meno libere.

Lo stesso atto della partecipazione al voto, si è progressivamente e drammaticamente rinsecchito, anche a fronte di proposte politiche sempre più difficilmente distinguibili nella sostanza, se non in accidenti esteriori, spesso solo nominali, e, comunque, molto legati a logiche di tifoseria sportiva deteriore, più che a differenti opzioni ideali, da cui discendano proposte politiche divergenti.

Forse bisogna dire, con coraggio, che tra la maggioranza delle persone nel nostro Paese, la differenza tra politiche di Destra, e politiche di Sinistra, ha perduto ogni confine, in particolare riguardo alla regolazione del Mercato; e si è sedimentata l’opinione che, anche in forza della globalizzazione finanziaria, la regolazione del Mercato, sia semplicemente impossibile, consegnando alla paura e ad attese messianiche il desiderio di migliorare la propria condizione materiale.

Permangono però, dinamiche e tensioni ideali che richiamano a contraddizioni e schemi tipici di una Società, dove comunque, continuano a prodursi materialmente beni e servizi e, si continua a pensare che esista una responsabilità pubblica del cittadino.

La CGIL ha raccolto le firme e proposto quattro quesiti referendari, cercando, nella sostanza, di riportare la legislazione lavoristica nel nostro Paese, a prima del 2016.

Per quel che vale, io, da dipendente della CGIL, non ho sottoscritto i quesiti referendari.

Non perché io fossi contrario al loro intento. Tutt’altro, visto che poi sono andato a votare, e ho votato “Sì”, a tutti e quattro i quesiti referendari, e per loro, per quanto a me possibile, ho fatto propaganda.

Pensavo, e penso, che i cambiamenti sociali, siano processi molto complessi e difficili, ma, certo, che siano espressione di movimenti reali, che cambiano il consenso e le priorità all’interno di una Società.

E in Italia, salvo sporadici tentativi, la lotta contro la progressiva deregolamentazione del Mercato del Lavoro, in favore dell’arbitrio d’impresa, è stata debolissima, e resa ancor più debole da oggettive condizioni di fragilità economica del nostro tessuto produttivo e di servizi che, complessivamente, stenta a sopravvivere se non drogato da bassi salari e nessun diritto per Lavoratrici e Lavoratori.

Io pensavo, e penso, che senza un reale movimento popolare, che porti il conflitto sociale nei luoghi di lavoro e nelle città, vi sia pochissimo spazio per azioni riformatrici.

E lo strumento del Referendum, mi sembrava una scorciatoia. Meritevole, ma pur sempre scorciatoia, e per di più, da percorrersi in condizioni socio-politiche difficilissime.

Peraltro, il Mercato del Lavoro del 2016, pur dotato delle Leggi che si voleva ripristinare, non era certo tenero, nei confronti delle persone. Tutti gli strumenti legislativi che istituzionalizzano gradi di subordinazione crescenti alle volontà del Datore di Lavoro, erano già operanti, e la situazione del nostro sistema economico e produttivo di allora, non era granchè differente dalla situazione odierna.

Temevo, che i Referendum sarebbero stati neutralizzati da bassi livelli di partecipazione, in un quadro in cui la coscienza delle persone, comunque non aveva contribuito a lotte, generalizzate e fondate sul consenso a piattaforme alternative, specificamente indirizzate a combattere il lavoro povero, quello precario, e quello insicuro.

Ci sono stati vari tentativi della CGIL in particolare, nel tempo, anche di costruire proposte organiche e lotte, sia pure troppo isolate e sconnesse dalle priorità giornaliere della Società e della Politica; ma non hanno mai conquistato un ruolo sociale importante; ed intervenire con lo strumento referendario, mi sembrava non avesse la necessaria forza politica e sociale.

I temi sollevati, restano tutti, ma sono arretrati, nella consapevolezza e nelle coscienze delle Italiane e degli Italiani.

Questo pone un problema alla Democrazia, che potrei riassumere brevemente e non esaustivamente, nello scolorarsi e scomparire progressivo di tutti gli argini che la Democrazia ed il conflitto sociale, in particolare in Europa, avevano posto al Mercato, fino al punto da rendere lecita una domanda molto molto seria: cosa oggi, può contenere, davvero, o dovrebbe contenere, la parola “Democrazia” ?

Credo sia nella definizione di questa parola, e nelle innovazioni che si sarà capaci, auspicabilmente, di introdurre in essa, che si giochi una sfida fondamentale per il futuro dell’Italia e del pianeta.

E’ evidente, infatti, che i contenuti della Democrazia, faticosamente costruiti dopo il Secondo Conflitto Mondiale, oggi, abbiano necessità di una loro totale rivisitazione, mentre il movimento reale del mondo, si dirige verso forme sempre più autoritarie di governo, ad ogni livello, peraltro aiutate da torsioni semplificatrici veicolate dalle tecnologie dell’Informazione e dal prossimo espandersi di forme di cosiddetta “Intelligenza Artificiale”.

Credo commetta un errore di prospettiva, chi oggi prova a contare i voti del Referendum, confrontandoli con l’esito delle ultime elezioni politiche generali, e ricavandone la convinzione che si possa battere il Governo alla prossima tornata elettorale, perché il numero di voti che avrebbero voluto l’abolizione delle normative lavoristiche è superiore al numero di voti a suo tempo ottenuti dalla coalizione di Governo.

Si tratta di un dato reale.

Il problema è che le opposizioni, o almeno una parte di esse, dovrebbe, ora, costruire una realistica proposta di Governo, su tutti i temi, ivi comprese le materie lavoristiche e quelle della rappresentanza sindacale. Una proposta concreta di Governo.

E temo che questo sia estremamente difficile, impegnate come sono, alla ricerca di consenso, spesso, ed in primo luogo, non nel campo avverso, o nel vasto campo degli indifferenti e indecisi, ma in quello vicino.

E credo anche che qualunque persona, o gruppo politico che non comprenda che questo è il momento per fare e per unire, semplicemente, debba essere lasciato da parte e da subito.

Non cambierà, il sistema elettorale, probabilmente, e, pertanto, vince chi avrà costruito coalizioni credibili perché capaci non solo di raccogliere un consenso maggioritario, ma anche di governare.

Non mi stupisce in alcun modo, il dileggio che la Destra mostra per chi abbia votato, e per il modo in cui quella proposta politica sia stata bocciata. E’ arrivato il tempo di dire che la cosiddetta Destra del nostro Paese, è in larga parte incompatibile con una idea alta di Democrazia ( per quanto ancora tutta da riempire di contenuti ed innovazioni ), e comportarsi di conseguenza. In questo senso, il continuo richiamo ai loro scivolamenti verso l’esperienza storica del fascismo, serve solo ad alimentare una agenda di discussioni inutili. Anzi, utili solo a chi voglia conferire patenti di legittimità ad una esperienza storica, sconfitta dalla Liberazione, e che andrebbe consegnata alla storiografia seria, della quale esiste già una bibliografia ampia e qualificatissima.

Da una vita, in questo Paese, il reato di “apologia del fascismo”, è stato derubricato a folclore commemorativo: forse è il caso allora, di riservare una grande attenzione al concreto comportamento delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, quando non perseguano i comportamenti che la Legge obbliga a perseguire, e a costruire soprattutto un consenso maggioritario, ed opposto, ai temi che la demagogia di destra, perennemente resuscita da cantine buie e asfittiche, e che puzzano di stragi.

Un piccolo ragionamento diverso, merita il quesito referendario relativo al riconoscimento della Cittadinanza italiana.

Tecnicamente, si interveniva su uno solo dei requisiti richiesti per l’ottenimento della cittadinanza italiana. Tutti gli altri requisiti ( molti dei quali puri adempimenti tecnico-formali ), restavano invariati.

Naturalmente, l’egemonia di Destra, ha tradotto il quesito referendario, in una domanda sulla facilità, o meno, della concessione del diritto di Cittadinanza, e per certi versi, persino sulla liceità della concessione della Cittadinanza..

Il quesito referendario ha registrato, tra i votanti, una percentuale significativa ( più alta che per gli altri referendum ), di persone che ritenevano corretta la legislazione italiana, per l’ottenimento della Cittadinanza, ove tutti gli altri requisiti fossero soddisfatti, e che hanno pertanto respinto il quesito referendario.

Questo dato dice chiaramente, che anche tra coloro i quali siano sensibili a temi sociali importanti, permane un atteggiamento di diffidenza nei confronti degli stranieri.

Questo atteggiamento di diffidenza è giustificato.

La propaganda politica ultradecennale, ostile pregiudizialmente, e talvolta razzisticamente, all’ingresso degli stranieri in Italia, ha impedito che si svolgesse una seria e lungimirante discussione sulle questioni migratorie complessivamente; sulle politiche di accoglienza; ma, soprattutto, su cosa, le Italiane, e gli Italiani, vorrebbero si basasse il patto con gli stranieri che, regolarmente, soggiornano in Italia.

La richiesta di cittadinanza italiana, prescinde oggi, quasi totalmente, da una conoscenza della Storia, della Cultura, della Costituzione e delle leggi italiane, ma è fondata solo su basi burocratiche.

Le basi burocratiche, dovrebbero garantire una “terzietà” della Pubblica Amministrazione; dovrebbero garantire cioè, per tutte e tutti un analogo trattamento per analoghe condizioni e richieste. E però questa strada, elude nodi essenziali per la qualità della convivenza.

Qual è il rapporto, e l’intervento dello Stato italiano, nei confronti di persone la cui cultura e religione prevede una strutturale subordinazione delle donne, o una strutturale ostilità alle questioni relative all’identità sessuale delle persone ?

Qual è il rapporto dello Stato italiano, con la Religione e con le Religioni organizzate ? Godono tutte degli stessi diritti e doveri, o ci sono sacche di privilegio, ma anche di impunità ?

Acquisire la Cittadinanza italiana, vuol dire, in ultima analisi, in caso di necessità, combattere un conflitto difensivo per la salvaguardia del proprio Paese: il processo di acquisizione della Cittadinanza, affronta un tema così forte e delicato, o lo ignora del tutto ?

Il complesso dei diritti sociali e civili, riservati ai cittadini stranieri che risiedano regolarmente in Italia, entra in conflitto, e come, e dove, col complesso dei diritti sociali e civili riservati ai cittadini italiani e alle cittadine italiane ?

Affrontare su questi e su altri temi, un dibattito pubblico, e civile, nella società italiana di oggi, è urgente e quanto mai necessario; e dovrebbe essere questo dibattito, a ridefinire il concetto di Cittadinanza, ma, se vogliamo, anche di Italia, più complessivamente.

Scegliere la strada di un Referendum, su questi temi, significa non aver compreso che le sfide che ci pone la modernità, non sono risolvibili con una semplificazione, e che, anzi, è proprio la semplificazione propagandistica, a generare un pregiudizio negativo e comportamenti e mentalità razzistiche.

L’esito complessivo quindi di questi quesiti referendari, conferma l’immagine di un Paese largamente passivo; incapace forse di interrogare sé stesso alla profondità che sarebbe necessaria, esposto anche per questo, a torsioni autoritarie.

Ci mostra il potere dell’informazione e della comunicazione, che hanno trasformato in pura propaganda e strategia comunicativo/pubblicitaria, il dibattito pubblico.

Ci mostra un Paese nel quale non emerge un corale, unitario e positivo pensiero volto al futuro, ma quasi solo una sopravvivenza spicciola, aggrappata alle sedie del potere, di un ceto politico senz’altra missione che perpetuare sé stesso e vendere le proprie parole, come le uniche capaci di rappresentare la realtà.

Ma ci mostra anche una presenza attiva e propositiva nel Paese, che però non riesce a fare sintesi e neanche ad identificare una vera classe dirigente all’altezza. Quella presenza può divenire maggioranza attiva, se si individui un nuovo discorso politico e chi lo sappia rappresentare tra forze di una coalizione leale e seria, dotata di un vero programma di Governo.

Condividi su

Se hai trovato l’articolo interessante e vuoi discuterne con me compila il form sottostante o contattami all’indirizzo email:
messaggio@luigifiammataq.it

Consenso trattamento dati personali

7 + 5 =